Si fa presto a dire termovalorizzatori

di Alessandro Vaccari

Quando si parla di termovalorizzatori si entra in un terreno di discussione che coinvolge il termine stesso con cui definirli correttamente.

Nell’intenzione di chi ha inventato questo neologismo, il termovalorizzatore è un impianto che non si limita a eliminare i rifiuti non riutilizzabili o riciclabili, come facevano i vecchi inceneritori, ma che, nel processo di combustione, produce anche energia termica da trasformare in energia elettrica oppure, come avviene frequentemente in Svizzera e nell’Italia del Nord, da impiegare per alimentare il riscaldamento delle abitazioni.

Usare il termine termovalorizzatore per denominare un inceneritore con recupero di energia, significa, come ha sottolineato anche l’Accademia della Crusca in un suo pronunciamento del 2008, nascondere o almeno sottovalutare la messa in atto di processi di combustione con un inevitabile impatto ambientale.

Questo termine verrà qui usato per motivi di praticità, pur tenendo conto del suo carattere un po’ mediatico e tendenzioso.

Il dibattito e le divergenze rispetto a questo tipo di impianti riguardano la loro sostenibilità per l’ambiente e per la salute dell’uomo, i costi dell’energia da essi prodotta e la loro compatibilità con i processi dell’economia circolare.

Ognuno di questi punti meriterebbe di essere accuratamente analizzato ma qui ci soffermeremo in particolare sull’ultimo, anche se i vari aspetti sono fra loro strettamente collegati.

Abbiamo già visto che i Paesi dell’Ue e anche la Svizzera hanno deciso di inserire la problematica dei cosiddetti rifiuti all’interno del modello dell’economia circolare, che prevede una pianificazione in grado di riutilizzare i materiali in successivi cicli produttivi, puntando a ridurre il più possibile gli sprechi.

Il modello europeo sopra descritto prevede la funzione insostituibile dei moderni inceneritori, da mettere in relazione con la fase precedente del riciclaggio.

Per essere economicamente vantaggioso, il riciclaggio deve produrre materiali di un buon livello qualitativo e questo implica il permanere di importanti quantità di scarti da destinare necessariamente ai termovalorizzatori.

Nella prospettiva di un’economia circolare l’obiettivo della massima riduzione dei rifiuti di scarto è unanimemente condiviso.

Gli inceneritori con recupero energetico devono garantire un certo livello di produzione di energia dato che da essi dipende, ad esempio, il riscaldamento di intere città: la loro esistenza e addirittura, come qualcuno auspica, la loro moltiplicazione è compatibile con la riduzione della quantità di rifiuti prodotta?

A questo interrogativo molti ecologisti rispondono negativamente, affermando che i termovalorizzatori sono un corpo estraneo in una corretta gestione dell’economia circolare e che bisogna provvedere a una graduale eliminazione di quelli esistenti, evitando il più possibile di costruirne di nuovi.

A sostegno di questa tesi vengono portati diversi esempi concreti.

In Svezia si è cercato di attuare nel modo più rigoroso la politica europea dell’economia circolare, provvedendo anche alla costruzione di un cospicuo numero di termovalorizzatori.

Tuttavia, dato che in questo Paese riutilizzo e riciclaggio raggiungono livelli ottimali, tali impianti hanno bisogno di utilizzare rifiuti provenienti da altri Paesi, Italia compresa, che pagano adeguatamente per questo servizio.

Per quanto riguarda invece il termovalorizzatore costruito nel 2017 a Copenhagen e divenuto famoso perché sopra di esso è stata costruita una pista da sci artificiale, non bisogna dimenticare il risvolto meno edificante di questa realtà: la città danese produce quantità di scarti urbani molto superiore alla media italiana e realizza una percentuale inferiore di raccolta differenziata,

A Genova nel 1999 stava per essere approvato il progetto di un termovalorizzatore “stile Copenaghen” a gestione privata che fu bocciato per opposizione delle organizzazioni ecologiste sostenute da buona parte della popolazione.  Il relativo contratto prevedeva il conferimento all’impianto di 900 tonnellate al giorno di spazzatura per almeno vent’anni e una penale a carico dei contribuenti se il conferimento fosse stato inferiore alla quantità concordata.

A oltre vent’anni di distanza i Comuni che avrebbero dovuto rifornire l’inceneritore raggiungono il 65% di raccolta differenziata e, paradossalmente, se esistesse il progettato inceneritore, vedrebbero sanzionato economicamente il loro impegno ecologista.

Sarebbe naturalmente opportuno non scatenare sulla questione una guerra di religione: anche chi si prefigge l’obiettivo di puntare esclusivamente sulla riduzione progressiva dei rifiuti ha coscienza del fatto che si tratta comunque di un obiettivo da raggiungere gradualmente. E comunque rimane il problema di come eliminare la quantità sia pur minima di rifiuti residui di scarto se non si vuole procedere al loro incenerimento, anche se già esistono esperienze in merito.

In ogni caso il dubbio che non sia pensabile un modello di economia circolare che preveda stabilmente l’impiego di termovalorizzatori appare più che fondato.

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