La calma forza dei leader introversi

Qualche mese fa mi trovavo a pranzo con due colleghe che, come me, dedicano parte del loro tempo al networking all’interno della nostra azienda. Chi si fosse trovato vicino al nostro tavolo, osservandoci in quel momento, intente a discutere di eventi e ruoli aziendali, non avrebbe avuto dubbi: saremmo state definite come ‘donne forti’, business women, donne che sanno il fatto loro! In una parola, estroverse. E invece sarebbe stato uno sbaglio – o meglio, sarebbe stato uno sbaglio crederci “spontaneamente” estroverse. A quel tavolo, infatti, si trovavano tre donne che si stavano comportando da estroverse, perché ciò è richiesto nel mondo professionale in cui noi ci troviamo a lavorare. Se vuoi essere leader, devi essere un estroverso. Il messaggio è questo. E se non lo siamo, estroversi? Ne ha scritto, in modo molto convincente, di recente, Susan Cain nel suo libro “Quiet”, nel quale descrive il fenomeno di come ci si spinga e impegni ad imparare a diventare estroversi.

Anni fa, se mi avessero chiesto di definirmi estroversa o introversa non avrei avuto dubbi: non mi piaceva molto stare in piedi sul palco, non amavo tenere un discorso pubblico e neppure attirare troppa attenzione o indossare colori vivaci, o gioielli sgargianti. Segni tipici di una persona introversa, secondo molti test psicologici. Mi piaceva passare tempo da sola, ascoltare prima di decidere cosa fare; rifuggivo troppa attenzione. Eppure ora, ora non ho problemi a fare presentazioni davanti a un grande audience, a stare in piedi sul palco con un microfono in mano, a parlare con molte persone diverse in occasione di eventi e feste, ad organizzare incontri sociali di vario tipo e con numerosi interlocutori. Che cosa è successo? Semplicemente mi sono allenata, da sola, nel corso degli anni. E ora, faccio parte del gruppo degli ‘ibridi’, cioè degli introversi diventati estroversi.

A livello più o meno inconsapevole, la nostra società occidentale invia chiari segnali che associano gli estroversi con i vincitori, con le persone felici, con le persone di successo nel business. È certo un retaggio culturale ‘nostro’, assai diverso dalla cultura dell’est europeo, del Giappone e di tutte le regioni in cui prevalgono il cristianesimo ortodosso, il buddismo, il sufismo, etc. – dove viene data molta più importanza ad atteggiamenti tipicamente considerati da ‘introversi’.

Ma quali sono esattamente i caratteri degli estroversi e degli introversi? I primi pensano ad alta voce; parlano invece di dedicarsi all’ascolto, raramente si trovano ‘senza parole’, e talvolta parlano anche prima di pensare. Non hanno problemi a trovarsi in situazioni di conflitto, piuttosto a recar loro disagio è la solitudine. Gli introversi, al contrario, pur sentendosi a loro agio in occasione di eventi e incontri d’affari o di lavoro, dopo un po’ di tempo vorrebbero tornarsene a casa e passare del tempo con se stessi ! Preferiscono dedicare le loro energie ad amici intimi, colleghi e familiari.

Naturalmente, l’essere introverso e l’essere estroverso non sono due categorie dicotomiche (o l’uno o l’altro). Piuttosto sono due estremi di un continuum lungo il quale ci possiamo muovere, e possiamo imparare a muoverci, adottando di volta in volta atteggiamenti diversi. Oggi un po’ più introversi, domani forse meno, anche a seconda delle differenti situazioni in cui ci troviamo, le risposte che riceviamo dal contesto che ci circonda e chi ci sta attorno. Siamo insomma tutti “tipi ibridi”.

Dunque è lecito chiedersi se anche coloro, che hanno un atteggiamento introverso più pronunciato, possano essere leader. La nostra preferenza culturale per l’estroversione è nell’ordine naturale delle cose, o è determinata socialmente? E in questo caso, possiamo imparare a diventare estroversi; o forse meglio di no?

Come scrive nel suo libro Susan Caine: se assumiamo che persone tranquille (introverse) e chiassose (estroverse) hanno all’incirca lo stesso numero di buone (e pessime) idee, allora dobbiamo preoccuparci se a vincere, nel prendere le decisioni, sono sempre le persone più chiassose. Questo significherebbe che un sacco di idee pessime prevalgono – per il semplice fatto di venir proposte da estroversi –  mentre altrettante buone idee (ma proposte da introversi) vengono schiacciate. Studi sulla dinamica di gruppo suggeriscono che questo è esattamente ciò che accade. Noi percepiamo gli estroversi come più intelligenti dei tipi piuttosto chiusi e riservati, anche se i punteggi dei test di intelligenza rivelano che questa percezione è imprecisa.

Gli introversi possono effettivamente essere leader, ma è certamente più difficile nella nostra società che loro emergano come tali. Eppure, una volta in posizione di leadership, gli introversi sanno far uso di tutta una serie di abilità che un estroverso probabilmente non sarebbe nemmeno portato a prendere in considerazione. Un leader introverso mostra maggiore empatia per il suo team e è disposto ad ascoltare le idee di chi lo circonda nonché a metterne in pratica i suggerimenti altrui, arrivando, così facendo, a motivare il team ad essere più produttivo. I leader estroversi, invece, grazie alla loro naturale capacità di ispirare chi li circonda, sono in grado, spesso, di ottenere più risultati dai lavoratori più passivi.

La domanda rimane: dobbiamo dedicarci a migliorare le attività che non ci sono troppo naturali? Spronare noi stessi per allontanarci dall’essere introversi e arrivare ad abbracciare le caratteristiche degli estroversi? Oppure dovremmo forse cercare di contenere la nostra esuberanza e ascoltare di più, anche quando, naturalmente, saremmo portati ad adottare atteggiamenti da estroversi?

Non c’è (ancora) alcuna risposta. Ma già il fatto di porci la domanda, non può farci che bene!


(Per la versione originale di questo articolo, in inglese, http://www.ownthewayoulive.com/blog/2016/2/16/quiet-the-power-of-introverts?rq=extrov)

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