Stampa locale ed emigrazione

IDENTITÀ COSTRUITA: IL RUOLO DEI MEDIA

di Paolo Barcella

Negli anni successivi all’Unità, la stampa locale ebbe un ruolo marginale rispetto alla produzione giornalistica italiana. In quegli anni, infatti, il giornalismo della Penisola fu coinvolto in quel processo di integrazione e di costruzione dell’identità nazionale che non favoriva la valorizzazione della dimensione provinciale. Tuttavia, già nel corso dell’Ottocento, vennero fondate alcune storiche testate a vocazione locale, per iniziativa politica o aziendale, oppure, in qualche caso, ad opera delle curie cittadine. Tra le due guerre, le limitazioni alla libertà di stampa imposte dal fascismo bloccarono un’ulteriore evoluzione decentrata del sistema dell’informazione che, però, non tardò ad arrivare nel secondo dopoguerra. In particolare, a partire dagli anni Settanta giornali quotidiani, settimanali, mensili locali conobbero una notevole espansione, soprattutto in alcune regioni come la Lombardia, il Veneto, l’Emilia-Romagna, le Marche, la Sicilia, il Trentino e la Toscana. Il cambiamento tecnologico aveva infatti abbattuto i costi di produzione, rendendo possibile la diffusione di nuove testate e costi molto ridotti. In parallelo, l’accresciuta alfabetizzazione del paese aveva allargato il bacino dei lettori, mentre il finanziamento pubblico favoriva esperimenti editoriali di ogni genere. 

Nel 1995, la ricca Lombardia contava 2.000 testate periodiche locali, regolarmente registrate in tribunale, di cui 1.500 erano attive ancora nel 1993: tenendo conto della demografia, si trattava di un periodico locale ogni 5.700 lombardi.

Nel complesso, tutte quelle iniziative editoriali si distinguevano per il fatto di rivolgersi a una comunità di lettori territorialmente identificabile: acquisivano quindi una forte valenza identitaria, proponendo storie di vita, notizie di cronaca e servizi, racconti raccolti nella realtà più prossima a quella di residenza dei propri lettori. Era una stampa intrinsecamente politica anche quando non parlava di politica, perché contribuiva al rafforzamento dell’identità collettiva, in prospettiva interclassista e comunitaria, degli abitanti di un certo luogo. Inoltre, esprimeva in larga misura la tendenza a proporsi come stampa portavoce dei lettori, capace di parlare la lingua del territorio, valorizzando dialetti, in un ambiente culturale come quello italiano che, fino agli anni Settanta, li marginalizzava e stigmatizzava. 

Il giornalismo locale si proponeva come un prodotto “dalla parte della gente”. 

Anche le pagine culturali, là dove presenti, si sviluppavano come strumenti di indagine, ricerca, recupero delle identità, delle specificità, delle radici territoriali – reali o presunte che fossero. Le pagine di storia, per esempio, indagavano fenomeni anche di rilevanza nazionale, ma dalla prospettiva del luogo, magari a partire dal ritrovamento di un vecchio libro o di un diario, oppure dalla scoperta di un luogo o di un personaggio. Il racconto storico appariva spesso, e spesso continua ad essere, racconto di gente comune, oppure memoria di personalità del territorio che abbiano preso parte a grandi avvenimenti, da pubblicare in occasione di un anniversario o di una commemorazione. Le pagine culturali della stampa locale hanno così ospitato racconti di soldati, reduci di guerra, partigiani e, spesso, di emigranti. La provincia italiana è stata, come sappiamo bene, luogo di partenza di flussi migratori diretti in tutto il mondo: i suoi giornali hanno perciò raccolto, e continuano a raccogliere, centinaia di storie di migranti, racconti di vita di compaesani partiti alla ricerca dell’“America” e spesso tornati, più o meno soddisfatti. Parlando nei suoi giornali di emigranti e di altri mondi, insomma, la provincia italiana ha sempre raccontato prima di tutto di se stessa, evidenziando il complesso intreccio tra la dimensione locale e la dimensione transnazionale che si ritrova nelle culture di molte province d’Italia: un intreccio dagli esiti politicamente controversi e ambivalenti, perché facendo memoria dell’emigrazione italiana si può perseguire l’obiettivo di generare empatia e apertura nei confronti dei nuovi migranti in una prospettiva internazionalista, ma anche puntare alla valorizzazione dei propri “buoni migranti”, del proprio territorio, delle sue storie e specificità, allo scopo di dimostrare che si è diversi – e magari migliori – degli altri. Queste contraddizioni furono al centro del lavoro culturale di Leonardo Zanier, friulano in Svizzera che, con la sua opera politica e poetica, ha indagato come pochi altri le tensioni tra locale e transnazionale, nella storia culturale italiana del secondo Novecento. Una biografia importante per difendersi dalle facili retoriche del “quando i migranti eravamo noi” e per accedere alla complessità delle sfide politiche e culturali che il mondo contemporaneo ci presenta, tra pulsioni localiste e nuove migrazioni. Oltre che per approfondire le relazioni tra stampa locale ed emigrazione italiana nel secondo dopoguerra.

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