Stefano Ceccanti: voto Sì al referendum sul taglio dei parlamentari

On. Ceccanti, lei è un costituzionalista e anche per questo molti hanno storto il naso disapprovando la sua scelta di sostenere il taglio dei parlamentari al referendum costituzionale del prossimo 21 settembre. Ci può spiegare le sue ragioni al SÌ?

Inizierei dicendo che mi stupisco dello stupore perché evidentemente qualcuno ha perso un passaggio. Nell’ultimo passaggio decisivo alla Camera il PD, me compreso, voto SÌ alla riforma e lo fece perché si era recuperata una logica di accordo. Mentre nelle letture precedenti la maggioranza giallo verde si era blindata, addirittura facendo dichiarare inammissibili i nostri emendamenti, viceversa all’atto della formazione del Conte 2 vi fu un preciso accordo per ricollegare quel testo ad un contesto che comprende significative modifiche integrative. Si tratta dell’allineamento dell’elettorato attivo e passivo del Senato su quello della Camera (18 anni per l’attivo e 25 per il passivo), praticamente eliminando il rischio di maggioranze diverse e rimediando ad un’anomalia democratica (il Senato non è sin qui eletto a suffragio universale), del superamento della base regionale al Senato consentendo così circoscrizioni pluriregionali e della riduzione dei delegati regionali nella platea che elegge il capo dello Stato, riportandola così all’equilibrio tradizionale. Tutti testi già ben incardinati alle Camere, anche se bloccati dall’emergenza nei mesi scorsi. L’accordo prevedeva poi anche la disponibilità al varo di una nuova legge elettorale su cui è ragionevole attendersi un lavoro serio nei prossimi mesi.

I sostenitori del NO obiettano che il taglio dei parlamentari non è una scelta riformista e che la riduzione del numero dei parlamentari non segnerà la fine del bicameralismo ripetitivo, un argomento a cui lei pare sensibile. È ancora possibile in Italia, visti i precedenti, una riforma che porti a un bicameralismo differenziato?

Indubbiamente sarebbe stato molto meglio collocare la riduzione dentro un progetto di fine del bicameralismo ripetitivo, scelta che in una delle sue possibili varianti fu però bocciata nel referendum del 2016. A questo punto occorre chiedersi: quali due possibili risultati del 20 e 21 settembre favorisce la riapertura di quella prospettiva? Il NO blocca tutto per lungo tempo, il SÌ non la garantisce, ma certo la favorisce o quanto meno non la preclude.

Taglio dei parlamentari, ma di pari passo una riforma vera e (si spera di lunga durata) della legge elettorale, non piegata alla logica dei conticini. Pensa che si possa fare, che ci siano le condizioni politiche per realizzare questo obiettivo?

Credo che sia possibile, ma che tutto ciò abbia appunto bisogno di una breccia, il successo del SÌ al referendum del 20 e 21 settembre, senza la quale il sistema resterebbe paralizzato nei veti incrociati.

Un taglio dei parlamentari così drastico eleverà notevolmente il rapporto tra gli eletti e il numero di elettori rappresentati. Si teme, giustamente secondo noi, che il lavoro del (buon) parlamentare nel collegio di appartenenza sarà messo a dura prova e che il legame con i cittadini sarà oltremodo ridotto…

Ma in base a che cosa definiamo il taglio drastico? Erano i numeri pensati dalla Commissione De Mita – Jotti a inizio degli anni ’90, quando si era già consolidata l’Unione europea e si stava pensando a un rafforzamento delle Regioni. Certo, questi numeri precludono l’adozione dei collegi uninominali, soprattutto se sono una parte dell’insieme, ma niente esclude che gli eletti in ciascun collegio plurinominale possano essere comunque pochi, moltiplicando le circoscrizioni.

Ma nella Circoscrizione Estero questo aspetto sarà particolarmente drammatico, con collegi che abbracciano interi continenti, senza tralasciare l’incisività che potrà avere il manipolo di parlamentari eletti all’estero. Già ora intercettare le nuove emigrazioni senza abbandonare il legame con la vecchia emigrazione è una grande fatica. Perché non si è tenuto conto di queste condizionalità?

Diciamoci la verità: le circoscrizioni sono già enormi e spersonalizzanti e il sistema di voto all’estero era già oggetto di moltissime critiche. È vero che ora è ancor meno difendibile. Ferma restando l’esigenza di coinvolgere le comunità all’estero, cosa che si potrebbe fare in un Senato rinnovato di un bicameralismo differenziato anche con un discreto numero di eletti, ho dei dubbi che il metodo delle circoscrizioni con eletti all’estero, da cui magari può dipendere il Governo, come accaduto tra il 2006 e 2008, sia il modo migliore di concepire la rappresentanza in Camere che danno la fiducia al Governo.

Concludendo, non le sembra che il suo partito abbia peccato di coerenza su questa materia e cosa succederà nella tenuta del Governo se dovesse vincere il fronte del NO?

Secondo me il PD ha riportato nei binari giusti di un accordo una riforma che era nata come un’imposizione di parte e lo vedremo bene nei prossimi mesi. Non credo che nessuno pensi davvero ad un successo del NO, in ogni caso il Governo non è in gioco perché le divisioni sono trasversali.

Stefano Ceccanti
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