Storie di lotte per cambiare il mondo: lo sciopero del 14 giugno 2019

Il 14 giugno la Svizzera si dovrà fermare. Lo sciopero femminista e delle donne, secondo il manifesto articolato in 19 punti, è stato indetto a livello nazionale per rivendicare la parità di genere sui luoghi di lavoro, il riconoscimento e la valorizzazione del lavoro non retribuito e di cura e il riconoscimento dei diritti delle donne in diversi ambiti.

In particolare, si chiede «più rispetto per il lavoro e pari opportunità. Tolleranza zero contro il sessismo e le molestie nei confronti delle donne. Stop alla violenza sulle donne». Si chiede inoltre «più salario: un salario uguale per un lavoro uguale o di uguale valore. Salari adeguati che permettano alle donne di vivere. Pensioni che garantiscano una vecchiaia dignitosa». Si chiede «più tempo: una migliore conciliazione tra lavoro e vita privata. Tempo per perfezionarsi e prospettive professionali. La garanzia di gradi di occupazione che consentano di vivere.» Quindi uno sciopero assolutamente trasversale e non settoriale che se da un lato mostra la capacità di mobilitazione su temi così eterogenei, dall’altro dimostra quanto la società sia indietro rispetto ai proclami che circolano ormai da un pezzo.

In Italia le lotte femministe sono cominciate dopo il ’68, in Svizzera successivamente, eppure il punto d’arrivo è il medesimo: non è ancora abbastanza. Perchè nonostante il paradigma sia uguale per donne e uomini (stesso percorso accademico o stesso percorso professionale e parità di merito) il risultato è che non vi è nessuna discriminazione fino a quando la natura o la condizione sociale e familiare interrompono l’idillio. A quel punto, in assenza di politiche a favore delle donne, le stesse devono cedere il passo. D’altro canto, Ben Gurion definiva Golda Meir – una delle piu grandi politiche del secolo scorso – “il mio uomo migliore”. Anche nello scrivere, lo stile asciutto è quello degli uomini, l’ampollosità delle donne. Per non parlare di quello che accade quando alle donne si nega qualsiasi forma di libertà di espressione fino a negarne la vita.

Allora, quello che si chiede in ultima istanza è il riconoscimento della donna come essere umano pensante, diverso dall’uomo, ma non meno degno di rispetto e considerazione. Perchè lavoro sono tutte quelle attività che generano benessere a prescindere dal luogo e dalla mansione. Perchè ogni essere umano è unico e irripetibile e come tale va trattato.

Ed ecco che lo sciopero nella sua essenza più profonda di “far mancare un bene o un servizio” per far prendere consapevolezza della sua importanza, assume una veste eroica e dunque triste e nobile. Nobile perchè si lotta per cambiare un sistema e triste perchè la strada è ancora così lunga.

di Paola Fuso Cappellania, avvocato

Continuare
Abbonati per leggere tutto l'articolo
Ricordami