Sua Eccellenza l’olio. Viaggio in un frantoio

Di Giorgio Marini

L’Italia è la regina degli oliveti, con terreni dedicati a questa coltivazione pari a un milione e 200 mila ettari. Almeno cento milioni di piante di olivo sono presenti in quasi tutte le regioni italiane, a eccezione di Valle d’Aosta e Piemonte (che però si appoggia su selezionatori e imbottigliatori che commercializzano perlopiù prodotti liguri). Nelle attività che vi ruotano attorno sono coinvolte circa un milione di famiglie. In base a studi recenti si è evidenziata l’esistenza, nella Penisola, di ben 538 varietà, pari al 42% del patrimonio mondiale. La Spagna, che risulta il primo produttore al mondo di olio d’oliva, ne ha, invece, il 14%, la Francia il 7%, la Grecia il 4%, Turchia e Tunisia il 3,5%.

Nell’ambito del panorama tricolore, le Marche sono una delle regioni produttrici di extravergine per antonomasia. La produzione media di olio marchigiano è di circa 40-50 mila quintali l’anno. L’Assam (Agenzia regionale per i servizi nel settore agroalimentare) ha catalogato almeno una ventina di varietà locali, presenti da secoli, le ha descritte negli aspetti vegetativi, produttivi e ambientali, e le ha messe a confronto con le cultivar Leccino e Frantoio, ampiamente diffuse in tutto il territorio nazionale. Altre varietà sono attualmente in fase di studio, mentre numerosi genotipi autoctoni sono raccolti in un campo di conservazione genetica nell’azienda sperimentale a Carassai (Ascoli Piceno), per una valutazione agronomica e produttiva. Da tempo l’agenzia lavora, in particolare, su tre fronti dell’olivicoltura marchigiana: la caratterizzazione e la valorizzazione del patrimonio olivicolo locale, il recupero e la conservazione del germoplasma olivicolo marchigiano (il materiale genetico ereditario), le attività di supporto agli olivicoltori.

TERRE LEOPARDIANE

Il grande poeta Giacomo Leopardi parlava delle Marche, in cui egli stesso nacque, come di una terra di mezzo “dove i venti freddi del Settentrione si rimescolano con quelli caldi del Meridione”. Secondo il letterato anche “gli ingegni sogliono essere maggiori e più svegliati e particolarmente più acuti”. Le zone di confine, come, per l’appunto, quelle marchigiane, sono le più adatte per la coltivazione dell’ulivo. La località San Marcello, in provincia di Ancona, situata a circa 130 metri di altezza e 15 chilometri dal mare, è un luogo fra i più vocati alla produzione di olio e rientra nelle “Città dell’olio”. Il Comune ha recuperato il più antico frantoio del Paese e lo ha trasformato in un museo dedicato. In Contrada Serra, incastonato tra le colline come un piccolo gioiello, c’è il frantoio dell’azienda L’Olinda, una struttura di quasi 300 metri quadrati al centro di un vasto oliveto, realizzata nel 2006 ed entrata in funzione nell’autunno 2011 a esclusivo servizio aziendale. A parte il locale in cui avviene l’estrazione dell’olio, ci sono una sala per la defogliazione e il lavaggio delle olive, un ambiente climatizzato per la conservazione dell’olio (con serbatoi di acciaio inox, sotto azoto), un’ampia e accogliente sala degustazione e un deposito materiali. La vecchia casa colonica è stata demolita (con il totale recupero del materiale) a fronte della costruzione di un agriturismo con punto vendita. Sia il frantoio sia l’agriturismo, alimentati da un impianto fotovoltaico di 23 Kw, sono autosufficienti dal punto di vista energetico. L’acqua piovana è raccolta in una grande vasca (circa 300 metri cubi) e in due pozzi da 35 metri ciascuno: è una risorsa preziosa, nei periodi di siccità, per la vigoria e la vita degli olivi. Durante la lavorazione delle olive si recupera il nocciolino (cioè la parte legnosa) che diventa una preziosa per alimentare caldaie, stufe e bruciatori. La struttura, inoltre, è dotata di un complesso sistema di depurazione delle acque di lavorazione.

METODO BIOLOGICO

Oltre che a San Marcello (otto ettari in collina, tutti piantumati a oliveto, con 1.200 piante, in prevalenza Leccino, circa 500, e Raggia, 300, e in numero minore Rosciola, Pendolino, Maurino, Orbetana, Leccio del Corno, Canino, Picholine e Grigran), gli altri terreni dell’impresa si trovano a Jesi, San Paolo di Jesi, Cupra Montana, Montecarotto, Monte San Vito, Monsano e Sirolo (Parco del Conero). Sono tutti coltivati interamente a olivi, con sistema tradizionale, e con metodo biologico, concimati con sostanza organica, senza alcun utilizzo di pesticidi. Ai terreni di proprietà vanno aggiunti gli oliveti in affitto (oltre 20 ettari) in gran parte a San Marcello, ma anche a Jesi e Monte San Vito e Monsano. Si tratta di oliveti pienamente in produzione con le principali varietà coltivate del territorio e specializzati: a ciascuna fila di piante corrisponde un ben definito cultivar. Oggi L’Olinda produce sei oli monovarietali, ricavati da un unico cultivar di olive: una scelta per esaltare profumi e sapori, combattendo la standardizzazione e l’appiattimento del gusto.

SAPIENTE PREPARAZIONE

L’azienda segue l’intero ciclo produttivo, dalla pianta alla bottiglia, per ottenere la massima qualità e offrire ogni garanzia al consumatore. Il presupposto di base è uno: senza olive sane non si può avere un olio buono. Il campo inizia a essere preparato in primavera, con la potatura e la concimazione. Fra maggio e giugno, si hanno le prime indicazioni sull’andamento del raccolto. Fra agosto e settembre molta attenzione viene prestata al contrasto di parassiti, vermi e muffe, che attaccano il frutto. Il nemico più pericoloso è la mosca dell’olivo che deposita l’uovo sotto la buccia, dal quale poi nasce il verme che si nutre scavando nella polpa. Nel biologico la lotta è ancora più difficile perché non vengono utilizzate sostanze chimiche. Tuttavia esistono appositi metodi e tecniche bio per prevenire e combattere questi insetti. Non tutte le varietà maturano nello stesso periodo. Gli impianti specializzati, come quelli del Frantoio L’Olinda, consentono di organizzare la raccolta nei tempi giusti. La raccolta è fatta a mano, con l’aiuto di agevolatori: le olive sono messe in piccole cassette forate per far circolare l’aria. Diversamente, lo stoccaggio in grandi casse (o su un carro o, peggio ancora, nel cassone di un camion) favorisce la formazione delle muffe, il riscaldamento delle olive e la conseguente fermentazione interna all’acino, innalzando il tasso di acidità dell’olio. Più breve è il tempo fra la raccolta e la molitura, più alta sarà la qualità dell’olio. L’Olinda, con il frantoio aziendale, riesce a ridurre drasticamente questi tempi (circa tre ore). Una volta al frantoio, le olive sono defogliate e lavate. Alcuni sostengono che le foglie rendono l’olio più verde. Tuttavia le foglie, molite assieme alle olive, fanno crescere il senso di astringenza e alterano il gusto dell’olio causando bruciori in gola (che nulla hanno a che vedere con il pizzicore dell’olio, caratteristica basilare di un prodotto di alta qualità). Un’eccessiva presenza di rametti dà al prodotto finale uno sgradevole sapore legnoso. Il lavaggio delle olive serve invece per togliere tutte le sostanze che sono sulla buccia ed eventuali residui di terra che trasferirebbero ugualmente all’olio una negativa sensazione organolettica.

COME SCEGLIERE UN OLIO DI QUALITÀ

Ecco alcuni suggerimenti e spiegazioni degli esperti del Frantoio L’Olinda. Per una prova amatoriale di degustazione dell’olio, basta un normale bicchierino e qualche fettina di mela, per cancellare le sensazioni tra un assaggio e l’altro. Le prime indicazioni le dà la vista. Se l’olio è limpido significa che è stato filtrato correttamente o è stato fatto decantare in modo naturale. Se è torbido, invece, vuol dire che non sono stati fatti tutti i travasi necessari. Il colore non è un indice di qualità: dipende dalla varietà, ma può comunque fornire indicazioni utili. Il verde indica infatti un alto contenuto di clorofilla. Certamente, poi, una raccolta anticipata accentua la colorazione verde, mentre l’oliva più matura perde il suo contenuto di clorofilla e quindi l’olio assumerà una colorazione più tendente al giallo, prerogativa di alcune cultivar appena molite. Bisogna, dunque, distinguere a seconda dei casi. Se ha un colore aranciato, quasi certamente il prodotto è vecchio. Dopo l’esame visivo, c’è quello olfattivo: se l’olio odora di oliva e magari di verdura, frutta o erba possiamo stare tranquilli. Occorre diffidare, invece, se si avvertono sentori di rancido, di muffa o di agro. Segue, infine, la prova del gusto: mettiamo l’olio in bocca e appoggiamo la lingua sul palato. Aspirando l’aria più volte facciamo in modo che l’olio scorra lungo tutta la bocca e si scaldi. In questo modo le sostanze volatili si diffondono fino ad arrivare ai nostri organi gustativi. Oltre ai quattro gusti fondamentali, dolce, acido, salato ed amaro, in un olio è possibile percepire altre sensazioni come l’astringente e il piccante. Anche il naso entra in funzione durante l’assaggio ed è proprio dalla combinazione di queste sensazioni olfattive e gustative che il sapore prende forma. Sapori di rancido e di acidulo sono indicativi di un olio con alcuni difetti, mentre sapori fruttati, erbacei, amari o piccanti sono segnali positivi.

COME CONSERVARLO AL MEGLIO

L’olio, a differenza del vino, non migliora con il tempo, ma perde quelle caratteristiche che lo rendono uno scrigno di gusto e benessere. Innanzitutto è bene che in etichetta sia indicata la campagna olearia per consentire al consumatore di sapere quando è stato prodotto. Tendenzialmente è opportuno consumarlo entro 12-18 mesi dal periodo di molitura (il più importante elemento di valutazione). Occorre poi preservarne il più possibile tutti i profumi, gli aromi, le sfumature di colore e, in ultima analisi, le proprietà organolettiche. L’olio ha tre nemici: la luce, l’aria e il calore. Andrebbe dunque conservato in contenitori di acciaio o in una bottiglia scura, in un recipiente chiuso e in un ambiente fresco. Non va bene, però, nemmeno il freddo: una conservazione a temperature troppo fredde, indicativamente sotto i 10°C, può causare la cristallizzazione dei lipidi naturali dell’olio e renderlo torbido, compromettendone la qualità. Non tenete l’olio in luoghi poco riparati, come i balconi e le terrazze.

Continuare
Abbonati per leggere tutto l'articolo
Ricordami