Sul rapporto tra diseguaglianza e liberalismo

Siamo tutti uguali solo di fronte alla legge (per fortuna)

Di Amedeo Gasparini

Foto: Friedrich von Hayek

Tutti gli esseri umani nascono uguali? Sì nei diritti e doveri; no nelle condizioni. Tutti gli esseri umani sono diversi? Sì a livello individuale; no di fronte alla legge. Questi elementi sono principi fondamentali del neoliberalismo. Non implicano che gli esseri umani debbano essere discriminati o che questi debbano raggiungere gli stessi obiettivi nella vita. Friedrich von Hayek riconosceva che c’è una differenza fondamentale tra trattare le persone egualmente e renderle eguali. La prima condizione, sosteneva, è un elemento essenziale per la società libera. La seconda apre la strada verso il totalitarismo. Proprio in virtù del fatto che gli individui sono uguali di fronte alla legge è naturale che tra di essi emergano le differenze. In termini di interessi, formazione, vissuto personale, capacità, ambizioni, talento. Il neoliberalismo promuove e gestisce la diversità. Cerca di dare risposte su come armonizzare le differenze tra le persone nella società aperta.

Non crea classi: riconosce che gli individui sono uguali di fronte alla legge, ma ognuno è diverso. Il che non vuol dire che alcuni siano migliori di altri. Ognuno può portare il proprio contributo alla società. E lo può fare proprio in virtù della sua diversità. La diseguaglianza in salsa neoliberale non prevede la promozione di una società divisa tra “ricchi” e “poveri”, quanto il fatto che tutti sono diversi e rendere le persone uguali è pericoloso. La diseguaglianza tra individui è una delle facce della libertà. Hayek, ma anche Karl Popper, preferiva questa all’eguaglianza artificiale che distrugge e deresponsabilizza l’individuo. Rielaborando Hayek, Mario Vargas Llosa (Il richiamo della tribù) spiega che «gli Stati occidentali hanno potuto prosperare e avanzare grazie al loro ordinamento, al punto che adesso i paesi più arretrati hanno un modello da seguire e possono ricevere un aiuto dai paesi del primo mondo».

Ne consegue che «sarebbe stato molto peggio se il progresso dell’Occidente fosse stato limitato o annullato da una giustizia redistributiva ed egualitaria […], costringendolo a suddividere la sua ricchezza. Suddividere la povertà non porta ricchezza nessuno, e contribuisce soltanto universalizzare la povertà. La libertà, ci dice Hayek, è inseparabile da una certa disuguaglianza». Alberto Mingardi (Contro la tribù) ha scritto che «socialisti e sostenitori della giustizia sociale sono […] fra i […] nemici del commercio […]: ciò significa che indirettamente si impegnano a rendere più difficile attività economica proprio là dove aiuterebbe a ridurre la povertà, cioè nei paesi in via di sviluppo. Socialisti e sostenitori della giustizia sociale difendono […] una regolamentazione assai pervasiva dell’attività economica: […] ciò significa […] costi più elevati per le imprese, che diventano prezzi più alti per i consumatori».

Per avere una società più giusta, ergo uguale secondo alcuni, un attore dovrebbe manipolare l’ambiente in cui operano gli individui per concedere a tutti le stesse condizioni di partenza. Il che è incompatibile con l’idea di libertà di Hayek. «Uguaglianza di fronte alla legge e pari opportunità non significano parità di entrate di reddito», continua Vargas Llosa (ibid.). Un po’ quello che disse anche Ludwig von Mises. «La disuguaglianza della ricchezza e dei redditi è la causa del benessere delle masse, non la causa del disagio […]. Dove c’è un minor grado di disuguaglianza, c’è necessariamente un minor tenore di vita delle masse». Né Mises né Hayek auspicavano una società dove tali diseguaglianze sono eccessive. Secondo il neoliberismo una certa dose di diseguaglianza è 1) tipica dell’economia di mercato; 2) non nuoce alle società se non eccessiva; 3) è conseguenza del fatto che gli individui hanno talenti e capacità diverse.

Hayek non avrebbe guardato positivamente le GAFAM, oggi bersaglio preferito di chi parla di diseguaglianza. Perché esse sono monopolistiche, anticoncorrenziali e hanno legami con la politica che consente loro di mantenere legalmente i loro privilegi. La diseguaglianza concettuale, frutto di diversa conformazione e scelte individuali, non è un male di per sé. Liberali e liberisti non vogliano una società di individui di serie A e B – l’uguaglianza di fronte alla legge è alla base del liberalismo del XVII secolo. Due economisti non neoliberisti Daron Acemoglu e James Robinson (Why Nations Fail) spiegano che la disuguaglianza mondiale esiste perché nel XIX secolo alcune nazioni hanno tratto vantaggio dalle rivoluzioni industriali, mentre altre non sono state in grado di farlo. Tuttavia, il cambiamento tecnologico è solo uno dei motori della prosperità. Il neoliberismo vede la diseguaglianza come prova del fatto che gli individui sono tutti diversi e hanno preferenze e desideri diversi.

Francis Fukuyama (The End of History and the Last Man) spiega che «man mano che gli standard di vita aumentano, che le popolazioni diventano più cosmopolite e meglio istruite, e che la società nel suo insieme raggiunge una maggiore uguaglianza di condizioni [e non di traguardi], le persone cominciano a chiedere non più semplicemente ricchezza ma il riconoscimento del loro status». Questo desiderio si è fatto sempre più acuto negli ultimi trent’anni. Gli sconfitti del Comunismo e assertori dell’uguaglianza si sono uniti agli sconfitti della globalizzazione, assertori dell’uguaglianza. Hanno trovato due nemici comuni: il neoliberalismo (che ha sconfitto il Socialismo) e il neoliberismo (che ha permesso la globalizzazione), accusati di essere i grandi nemici dell’uguaglianza. Il liberalismo e i liberali preferiscono la libertà all’uguaglianza e sanno che dalla prima si può giungere alla seconda. Ma dalla seconda non si giunge mai alla prima.

www.amedeogasparini.com

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