Tommaso Campanella tra astrologia, profezie e… libri

di Alessandro Sandrini

Maurizio Ferraris, commentando il suo divertente e provocatorio saggio L’imbecillità è una cosa seria, sosteneva che Giordano Bruno poteva essere considerato un imbecille, al contrario di Tommaso Campanella, che evitò il rogo fingendosi pazzo.

Tuttavia la cosa gli costò cinque processi, 27 anni di carcere e l’esilio.

Bruno e Campanella vengono spesso presentati in coppia, ma ebbero un destino assai diverso, dovuto al diverso rapporto con la Chiesa e i Papi.

Giovanni Domenico Campanella nacque a Stignano, vicino Reggio Calabria, nel 1568. Figlio di un calzolaio a soli quindici, come Giordano Bruno, entrò giovanissimo nell’ordine dei domenicani con il nome di Tommaso, in onore di San Tommaso D’Aquino; studiò filosofia e teologia dando prova della sua intelligenza. 

Nel 1592 scrisse La filosofia dimostrata dai sensi, dove l’aristotelismo veniva superato per abbracciare l’empirismo di Bernardino Telesio, affermando che la conoscenza è sensazione, e che tutta la natura, animata e inanimata, può conoscere: “anche i sassi… perché nei sassi si ritrovano i tre elementi fondamentali“, caldo, freddo e materia (panvitalismo). Il libro fu immediatamente censurato e Campanella inquisito e torturato dal suo stesso ordine domenicano. Nel 1597 fu denunciato dall’Inquisizione, citato presso il Sant’Uffizio e infine segregato in un convento. 

Tornato in Calabria, Campanella fu tradito da alcuni suoi seguaci (come Giordano Bruno) e accusato di cospirazione contro il potere spagnolo. Arrestato e condannato a morte, si finse pazzo e la pena fu commutata in ergastolo. In carcere a Napoli scrisse moltissimo, tra cui La città del sole che lo rese famoso.

Per Campanella era arrivato il tempo di una riforma politica e religiosa quale segno e forma terreni del prossimo avvento del regno di Dio. 

Egli traccia le linee di una città ideale e utopistica, retta da un re-sacerdote che, con l’aiuto di tre consiglieri, rappresentanti di Potenza, Sapienza e Amore, sovrintende al culto del Dio Sole, un dio laico proprio di una religione naturale. Come Dante nella Commedia, Campanella si sentiva un profeta investito di una missione riformatrice e preparatoria dell’avvento dei regno di Dio. «Io nacqui a debellar tre mali estremi: / tirannidesofismiipocrisia”, vale a dire il falso potere, la falsa scienza e il falso amore. Queste sono le radici dei mali del mondo, una “trina bugia causa” di “carestie, guerre, pesti, invidia, inganno, ingiustizia, lussuria, accidia, sdegno”. Ma per far questo bisognava innanzitutto estirpare l’ignoranza, “radice e fomento” di ogni male, con l’aiuto dei tre consiglieri. “Attraverso di me sarà annunciato dal Signore la generazione futura. Eccomi. Manda me ad annunciare i tuoi miracoli e le tue misericordie verso tutte le genti”.

Questa vocazione profetica ha probabilmente permesso a Campanella di superare tutti gli anni passati in carcere, durante i quali scrisse con fervore, riuscendo chissà come a procurarsi l’occorrente per scrivere.

A Edoardo Farnese scrisse: “Piacque al Signore darmi autorità come quella di San Giovanni ai Farisei e miracoli più stupendi di quelli di Mose per convertire il mondo all’Evangelio e umiliar i principi alla Santa Chiesa”. Ci voleva coraggio per dire che i suoi erano miracoli più importanti di quelli di Mosè. E ancora: “Attraverso di me sarà annunciato dal Signore la generazione futura. Eccomi. Manda me ad annunciare i tuoi miracoli e le tue misericordie verso tutte le genti”.

La sua liberazione nel 1629 fu dovuta (con stupore di molti) a un intervento diretto di papa Urbano VIII che di Campanella aveva grande considerazione: con la sua missione riformatrice egli coniugava profezia, secondo la tradizione apocalittica medievale di Gioacchino da Fiore e Santa Brigida, e astrologia che, nel contesto culturale del tempo, era ritenuta vera e propria scienza, non una superstizione come adesso. Papa Urbano VIII ne era molto impressionato.

Nel 1628 l’ambasciatore di Firenze Francesco Niccolini scrive che il papa era ansioso di farsi fare un oroscopo da Campanella, contro il parere del Sant’Uffizio. Il papa infatti annullò tutte le sentenze del Sant’Uffizio e gli fece dare il dottorato. L’ambasciatore di Venezia scriveva che il papa “si ritaglia ore di distrazione per dedicarsi all’astrologia con un tale frate Campanella che sospetta gli Spagnoli, che forse questo frate professa anche la negromanzia”. 

Insomma, a conferma dell’osservazione di Ferraris, Campanella cercava in ogni modo di ingraziarsi il papa smentendo altri oroscopi astrologici che annunciavano l’imminente sua morte.

Per Giordano Bruno l’astrologia era uno strumento per andare oltre i confini dell’universo e riconoscere l’identità tra cielo terra: non era quindi possibile usare “le predizioni astrologiche per influenzare il futuro secondo specifiche esigenze e mutare il corso degli eventi”; gli uomini non potevano mutare il corso degli eventi”. Fu forse anche questo disinganno che non gli consentì di salvarsi.

Per Campanella, a toglierlo dal carcere fu proprio l’astrologia. Infatti non si condannava l’astrologia, né gli oroscopi, ma si condannavano gli oroscopi sbagliati. 

Già un secolo prima di Campanella, papa Giulio II della Rovere, eletto il 1 novembre 1503, sulla base di calcoli astrologici, spostò la data della sua consacrazione al 26 novembre. E la situazione non è cambiata in tempi più recenti: non mancano esempi di personaggi “più contemporanei”, con ruoli politici, che hanno agito a seconda degli astri annunciati da Dzhuna, la leggendaria astrologa e guaritrice segreta di molti potenti. Primi tra tutti Leonid Brezhnev, segretario del Partito Comunista Sovietico, e poi Edward Shevardnadze, l’apostolo della perestroika e della glasnost. Si ricordi anche il sarcasmo dei media americani verso Nancy Reagan, il quale spinse per organizzare un incontro tra suo marito e Gorbaciov in una data indicata dagli astri.

Adesso si interrogano i virologhi sulla scoperta di un vaccino e sulla fine della pandemia; allora i cardinali si rivolgevano agli scienziati-astrologi più attendibili, giostrandosi tra i vari e contraddittori oroscopi per trovarsi pronti nel caso di una convocazione di un conclave, e sperare così di fare carriera.

Tornando a Campanella, nonostante la protezione di Urbano VIII, gli spagnoli chiedevano l’estradizione del filosofo il quale dovette alla fine fuggire, proprio su consiglio del papa, e riparare in Francia dove fu accolto benevolmente ed ebbe la protezione del re Luigi XV e del cardinale Richelieu. Proprio mentre era presente alla corte reale, nacque, il 5 settembre del 1638 Luigi XIV di Borbone, il futuro Re Sole, definito da Campanella come “fanciullo prodigioso”, nato nello stesso suo giorno, l’inizio di una nuova età dell’oro. Nel bambino Campanella riversava le aspettative per l’ instaurazione di una monarchia universale con una sola religione e alla vittoria sui due più acerrimi nemici della Chiesa: gli eretici e i machiavellisti. Machiavelli infatti, rappresentante di una concezione laica del potere con riduzione delle religioni a ragion di stato, era, per Campanella, il campione di un anti-vangelo che dominava “questo secolo infelice”, precursore dell’Anticristo.

Si diceva che Satana in persona avesse messo a capo delle sue armate Machiavelli. Quel Machiavelli che con amaro realismo osservava che “sono tanto semplici li uomini, e tanto obediscono alle necessità presenti, che colui che inganna troverà sempre chi si lascerà ingannare.”

Convinto che i mali del mondo derivassero dall’ignoranza, nella Città del sole Campanella aveva sostenuto l’importanza dell’educazione per tutti. “Per lottare servono i libri”. Ne auspicava addirittura la diffusione come arma contro i Turchi. Non certo per convertirli, quanto “per disviare i popoli dall’armi alle lettere e introdurre più dispute di teologia e filosofia peripatetica, stoica, platonica e telesiana a ciò che si dividano e si snervino”. Dal mondo cristiano i turchi avevano preso le armi, le artiglierie e gli schiavi, ma non i libri, temendo di snervare le loro virtù militari perché essi potevano generare discordia e distogliere dai propri doveri (qualche secolo più tardi, in Fahrenheit 451, Ray Bradbury dirà che “un libro è una pistola carica”). Campanella morì nel 1639 nel convento parigino di Saint-Honoré.

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