Gli alberghi diffusi rappresentano una forma di accoglienza che si addice perfettamente al turismo lento. L’albergo diffuso è una struttura alberghiera situata in un piccolo centro abitato, composta da più stabili separati ma con gestione unitaria e in grado di fornire servizi adeguati a tutti gli ospiti. Si tratta di un’idea ricettiva made in Italy che però si sta affermando anche in altre parti del mondo.
Nel 2010 un articolo del New York Times ha riconosciuto la validità sociale e culturale degli alberghi diffusi, sottolineandone l’impronta tipicamente italiana.
Dopo il terribile terremoto del 1976, in Carnia si pose il problema di come valorizzare proficuamente alcune abitazioni dopo la loro ristrutturazione. Nacque così il progetto pilota di Comeglians del 1982, firmato dall’architetto Carlo Tosoni a partire da un’idea di Leonardo Zanier, originario di una frazione dello stesso comune e figura eminente dell’emigrazione italiana in Svizzera. A questo modello si sono ispirati gli alberghi diffusi creati in seguito un po’ in tutta Italia, soprattutto in piccoli centri che rischiavano lo spopolamento e che in tal modo sono stati rivitalizzati e valorizzati anche da un punto di vista economico, senza subire lo stravolgimento che spesso caratterizza il turismo di massa.
Nel 2006 è sorta l’Adi (Associazione nazionale alberghi diffusi) che si propone di promuovere questo tipo di offerta ricettiva, di favorirne lo sviluppo e di valorizzarne il progetto culturale. Sul sito web dell’Adi, www.alberghidiffusi.it, si trovano dettagliate informazioni sugli oltre cento alberghi italiani aderenti, con la presentazione di ogni singola struttura e del contesto in cui è inserita, insieme alle indicazioni necessarie per i contatti e le prenotazioni. In molti casi il complesso alberghiero dispone anche di un ristorante che permette di gustare la cucina della zona. I prezzi variano a seconda del luogo e della stagione ma risultano comunque accessibili.
L’Adi si batte inoltre per un’unificazione nazionale delle normative regionali attualmente esistenti, con lo scopo di pervenire a una definizione uniforme delle caratteristiche specifiche di questo tipo di struttura.
Per essere riconosciuto come tale dall’Adi, un albergo diffuso deve dunque collegare edifici preesistenti, in genere opportunamente ristrutturati, a basso impatto ambientale e situati in un borgo abitato anche da una popolazione locale.
Il rigore di questi criteri si prefigge di evitare forme di speculazione che snaturerebbero questa espressione del turismo lento: si tratta di conservare e far conoscere la cultura e la tradizione di un borgo e del suo territorio circostante, non di creare l’ennesima Disneyland turistica. L’Adi cura inoltre la promozione all’estero degli alberghi diffusi italiani e si propone di favorire l’internalizzazione di questo modello.
Gli alberghi diffusi italiani sono dunque pronti e particolarmente adatti, per la loro stessa concezione, ad accogliere i turisti anche in questo momento difficile.
In Svizzera, proprio all’inizio di maggio, sono iniziati i lavori per la realizzazione dell’albergo diffuso di Corippo, che si ispira esplicitamente ai criteri proposti dall’Adi: l’apertura è prevista per l’anno prossimo. Corippo, un piccolo borgo della Val Verzasca, in Ticino, fino a due anni fa, con i suoi dodici abitanti, era il più piccolo comune svizzero. Nel 2018 una netta maggioranza degli abitanti della valle ha approvato la creazione del Comune di Verzasca, che nasce dall’unione di sette comuni, fra cui appunto, Corippo.
La Fondazione Corippo 1975, espressione delle realtà sociali e culturali della zona, ha curato ed elaborato il progetto, in stretta collaborazione con gli enti locali e nazionali, dichiarando esplicitamente di concepire la valorizzazione turistica come mezzo e non come fine per la rivitalizzazione del borgo. Il progetto prevede l’ampliamento dell’antica osteria che fungerà da reception, sala da pranzo e ambiente comune, nonché la ristrutturazione di cinque antiche case, con la realizzazione di dodici camere per complessivi ventisei posti letto. La valorizzazione dei prodotti locali prevede, fra l’altro, la reintroduzione della coltivazione della segale che verrà trasformata in farina nell’antico mulino ristrutturato con la quale, nel forno tradizionale, a sua volta rimesso in funzione, verrà preparato il pane.