Un passo indietro, due avanti. La mossa di Renzi vista in prospettiva

di Pierpaolo Tassi

Per chi ha la leadership nelle vene, i ruoli da comprimario sono sempre troppo riduttivi. Più che una manovra politica, la scissione dell’ex premier Matteo Renzi dal Pd e la fondazione di Italia Viva, chiama in causa la psicologia politica, che in tempi di populismo dilagante colpisce le masse molto più dei noiosi discorsi su finanza e spread. Dopo aver spinto l’attuale segretario del Pd ad accettare l’accordo di governo con gli arcinemici a 5Stelle, scindersi dalla neonata creatura ancora in fasce è il modo migliore per far sentire tutto il proprio peso politico, a dispetto dei numeri.

Conti alla mano – in questo caso in termini di deputati e senatori, una quarantina in tutto – il nuovo soggetto politico renziano ha tutte le carte in tavola per diventare ago della bilancia del nuovo esecutivo dai piedi di argilla, pur stando con un piede fuori dalla porta. Anzi, proprio per questo. A volerla dire con il filosofo Massimo Cacciari, intervistato al riguardo da Il Fatto Quotidiano, Renzi mira a fare il nuovo Macron, una volta capito che in un Pd troppo spostato a sinistra non riuscirà mai a prendere le redini. In realtà, rischia più probabilmente di diventare il nuovo Salvini. E non si tratta di una provocazione spicciola, bensì della constatazione di una serie di affinità elettive che uniscono i due Matteo, ben più degli elementi di divisione. Entrambi cullati dal mito del piccolo schermo, i due Matteo hanno partecipato come concorrenti al celebre programma di Mike Buongiorno “La Ruota della Fortuna”, rodando il motore dell’ars oratoria per ben diverse occasioni. Entrambi hanno incarnato e incarnano un modello comunicativo innovativo, dove il linguaggio binario (rottamatori contro dinosauri per Renzi; rivoluzionari contro eurocrati per Salvini) la fa da padrone. Entrambi, infine, sono giovani. Ma piacciono agli anziani. Che, rispetto ai giovani votano molto di più.

Professionisti della demolizione sì, cantori di buoni sentimenti, al limite del melenso, pure. La commozione che accompagna il premier Renzi dopo la più grande tragedia nel Mediterraneo del 18 aprile 2015, in cui perdono la vita più di 500 migranti, è la controfacciata di quella di Salvini che interrompe il comizio da vicepremier del 9 agosto scorso a Pescara in piena crisi di governo, per rivolgere un pensiero ai figli lontani.

I due Matteo, aldilà del giudizio prettamente politico, sono i perfetti interpreti di una rivoluzione populista, che se non ha ancora trovato la maggioranza nelle due Camere del Parlamento, già la detiene tra gli spettatori della società dello spettacolo, dove politica e show vanno di pari passo. E chissà che, dietro la maschera di antagonisti “Schmittiani”, nemici per eccellenza di una politica in codice binario, i due non possano ricomporre il conflitto o meglio, usarlo a proprio reciproco vantaggio. Per muovere quel tanto che basta le lancette dell’orologio della storia e convertire questa improvvisa renaissance del sistema proporzionale in un nuovo progetto di sviluppo della Repubblica in senso maggioritario. Separati, entrambi ci hanno già provato. Renzi sotto forma di riforma costituzionale poi bocciata in sede referendaria; Salvini sotto forma di silenzio-assenso al taglio dei parlamentari. Separati, entrambi hanno fallito. Ma si sa, l’unione fa la forza. Anche ad anni luce di distanza dal punto di vista ideologico. Perché il nemico del mio nemico è pur sempre mio amico.

 

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