Un Pinocchio fedele (fin troppo) a Collodi

Fotogrammi dimenticati

Matteo Garrone ripercorre la favola italiana per eccellenza, creando un interessante trasposizione cinematografica pienamente degna del capolavoro di Collodi.

Pinocchio è un burattino di legno creato dalle mani di un povero falegname, Geppetto. Per un’inspiegabile magia la marionetta viene animata e resa viva, acquisendo le capacità motorie e intellettuali di un bambino. È testardo e indisciplinato ma riceve un amore incondizionato dal falegname. Fuggendo dalla casa di suo ‘padre’, inizierà per lui un’odissea che lo formerà profondamente.

Sono ormai diversi anni, dall’uscita di pellicole come “Lo chiamavano Jeeg Robot” o “Veloce come il vento”, che si parla di ‘rinascimento’ del cinema italiano. Dopo lunghi decenni bui durante i quali la qualità delle pellicole di intrattenimento italiche veniva pesantemente a mancare, si è assistito a diversi tentativi di cambiare la situazione, di smuovere le acque. Sono stati incoraggiati e prodotti diversi progetti tesi a interessare un vasto pubblico, raccontando vicende che uscivano dallo stantio e fin troppo sfruttato genere della commedia. Pinocchio di Matteo Garrone appartiene pienamente a questa corrente dissidente.

Il film è una fedelissima trasposizione dell’opera di Carlo Collodi, resa magnificamente dalle scenografie di Dimitri Capuani che catapultano lo spettatore in una sporca Italia di metà ottocento. La povertà e la miseria traspaiono dallo schermo, facendo riscoprire un’ambientazione assai poco frequente al cinema. Sono infatti rare le storie sviluppate in questo contesto storico, ingiustamente trascurato e ricco di spunti per riflessioni su un paese alla vigilia di uno sconvolgimento epocale: l’unità nazionale.

Principalmente girata in Toscana e Puglia, la pellicola valorizza i paesaggi e i borghi delle due regioni con poetici scorci su una terra grezza, contadina, ancora ignorante e arretrata. Interessante la messa in scena dei personaggi, rappresentati con uno splendido mix di trucco e computer grafica, che adombrano tutte le precedenti riproduzioni, cinematografiche e non.

Anche le figure più secondarie entrano con forza nella memoria, introducendo lo spettatore a un mondo fiabesco, innamorato profondamente dell’infantile piacere del vivere e crescere. Sono infatti tutti vividi e pulsanti, con alcune deprecabili eccezioni che stonano con il clima dell’opera. Primo tra tutti il manieristico giudice, eccessivo e fastidioso, perfettamente evitabile in un film che fa del rispetto verso il capolavoro originale il proprio vessillo. Degne di elogio le musiche di Dario Marianelli che sospingono la narrazione su suoni dolci e armoniosi, in perfetta sintonia con la delicatezza dei temi trattati.

Meravigliosa, in particolare, la sezione fiati, avvolgente e profonda nella leggerezza della sinfonia e il pianoforte che con le sue note sgargianti si pone come colonna portante di interi brani. Nicolaj Brüel torna dopo Dogman a fianco del regista, fotografando con precisa naturalezza e destreggiandosi tra luci calde e fredde, morbide e taglienti. Da antologia alcune riprese dall’atmosfera romantica settecentesca, con composizioni dell’inquadratura studiate e riflessive, perle rare nel cinema nostrano.

Pinocchio è vibrante, intrigante e appassionante; schiavo però del suo fervore quasi filologico che condanna il film a non prendere mai veramente il volo, restando ancorato al suolo. La pellicola rimane una mera trascrizione filmica del libro originale, elogiabile dai puristi ma piatta per coloro che si aspettavano delle innovazioni da parte del regista. Regista la cui passione per l’opera di Collodi traspira dal suo lavoro ineccepibile. Il merito maggiore della pellicola diviene quindi anche la sua pena e il suo errore fatale, divenendo una buona prova nella carriera di Matteo Garrone, che dimostra nuovamente la sua disinvoltura con il genere fantastico.

 

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