Un primo maggio di incertezze

“Immagini che entreranno per sempre nella nostra memoria collettiva”. Forse è questa la frase più gettonata che abbiamo sentito nelle ultime settimane, ovvero dall’esplosione della pandemia che ha sconvolto il nostro sistema di vita e di relazioni umane. Frase che evoca i fotogrammi terribili delle bare portate via con i camion militari, i volti segnati del personale nei reparti degli ospedali Covid-19, o l’immagine profetica e drammatica – senza precedenti nella storia – di Papa Francesco vestito di bianco, avvolto dal buio che scende, mentre attraversa Piazza San Pietro deserta e s’incammina verso il sagrato per pregare, assieme a milioni di credenti e non credenti in diretta mondovisione, invocare la fine della pandemia e accendere la luce della speranza.

Per la prima volta dal 1945 l’Italia ha celebrato il 25 aprile – festa della liberazione dal nazifascismo e dell’avvio verso la democrazia – senza cortei e piazze piene: “Bella ciao” è risuonata dai balconi dell’Italia e attraverso i social media in tante parti del mondo. E venerdì celebreremo una ricorrenza profondamente significativa, oltre ogni fragile retorica e convincimento politico: il 1° maggio, Festa dei lavoratori di tutto il mondo. Giusto un anno fa le manifestazioni del Primo maggio in Svizzera avevano lanciato il dibattito a livello nazionale sull’uguaglianza salariale fra i sessi in vista dello sciopero delle donne del 14 giugno all’insegna del motto “Parità di salario. Punto e a capo!”.

Ora, in questo Primo maggio 2020 non ci saranno cortei e piazze piene, non ci saranno le manifestazioni a Zurigo, Basilea, Neuchâtel e altre città svizzere, non ci saranno migliaia di persone in piazza a rivendicare miglioramenti salariali e migliori condizioni di lavoro, a lottare per la giustizia sociale: il coronavirus lo impedisce! Eppure la crisi del lavoro e dell’occupazione sarà il grattacapo principale delle prossime settimane e mesi.

Da oltre sei settimane siamo in regime di lockdown deciso dal Consiglio federale per frenare la catena del contagio da Covid-19 e impedire che la pandemia producesse danni irreparabili alla nostra società. La popolazione svizzera ha superato la prova, nonostante le incertezze iniziali: il numero dei contagi è andato scemando negli ultimi giorni, di pari passo con la diminuzione dei ricoverati negli ospedali, come attestano i grafici quotidiani sull’andamento dell’epidemia. In pari tempo si è intensificato – come accade in molti paesi europei – il coro di voci che spinge per accelerare la degressione dal lockdown e per rimettere in moto la macchina in numerosi comparti economici.

Da lunedì scorso stiamo vivendo un primo parziale assaggio dell’allentamento delle misure restrittive, la cosiddetta “Fase 2”: hanno riaperto varie attività economiche – non molte – e nelle prossime settimane altri settori ripartiranno. L’11 maggio riapriranno i battenti anche le scuole dell’obbligo che in questa lunga fase hanno funzionato a distanza, mentre per le scuole medie superiori e professionali vi è l’orientamento di riaprire l’8 giugno, ma la decisione finale sarà presa soltanto a maggio inoltrato.

È da ritenersi superata l’emergenza sanitaria? Certamente no, abbiamo superato la fase più acuta ma restano tante domande senza risposta, soprattutto a causa della limitata conoscenza del virus, del numero delle persone contagiate, della possibilità di ricaduta, dell’attendibilità dei test sierologici e della governabilità di questioni complesse come i trasporti pubblici e privati e altro.

La “fase due” dovrà rapportarsi continuamente a tali situazioni d’incertezza per potere indirizzare le decisioni e tutti saremo chiamati a convivere con il virus rispettando le regole igieniche che nel frattempo abbiamo sperimentato. Speriamo che nel frattempo la scienza e l’industria farmaceutica ci salvino individuando un vaccino in grado di debellare il virus, ma sappiamo anche che occorrerà tempo per raggiungere l’immunità.

Il dibattito sull’economia svizzera s’innesta quindi in questo scenario terribile e gli aiuti finanziari messi in campo dal Consiglio federale – con una scansione così ravvicinata che soltanto in febbraio avremmo ritenuto inimmaginabile – materializzano plasticamente il pericolo di un crollo economico e sociale causato da questa crisi: siamo passati dai 10 miliardi di aiuti decretati il 13 marzo, fino a raggiungere i 60 miliardi di franchi con le decisioni assunte il 3 aprile scorso. Ci sarà probabilmente bisogno di ulteriori iniezioni di capitali per evitare che l’economia subisca danni irreversibili, confidando che alla crisi economica non si sommi una coda di crisi finanziaria.

Tutti guardano con trepidazione, ora che è partita la “fase due”, al mercato del lavoro per capire gli sviluppi che ci assilleranno fino alla fine dell’anno e oltre. Il Consiglio federale ha agito con grande acume e rapidità, con stanziamenti massicci per finanziare l’indennità per lavoro ridotto, una scelta che ha evitato molti licenziamenti e salvaguardato tanti posti di lavoro; un intervento che ad ogni modo non potrà perdurare nel tempo.

Dovranno dunque essere altrettanto oculate le decisioni riguardanti l’allentamento delle misure restrittive. Ma anche le imprese sono chiamate a un impegno straordinario, soprattutto quelle che negli ultimi anni hanno fatto della massimizzazione dei dividenti il credo assoluto delle proprie finalità economiche: possibile che gli azionisti non facciano la loro parte e tocchi sempre allo Stato – alias contribuente – salvare il salvabile?

Stato che per inciso è chiamato in causa in ambiti operativi come il traffico aereo e il turismo, in cui i miliardi occorrenti per difendere il loro ruolo strategico e migliaia di posti di lavoro, sono davvero tanti. In pari tempo si devono fare i conti con il pesante calo del gettito fiscale a favore di Comuni, Cantoni e Confederazione. Fortunatamente la Svizzera (e per fortuna dei cittadini) può fare affidamento sull’ottimo equilibrio dei conti pubblici, che le consentono di governare questa situazione di crisi e di poter contare sul sostegno e sul pronto intervento della Banca nazionale svizzera.

Sono innumerevoli gli aspetti che l’epidemia ha messo sotto gli occhi dei governanti giorno per giorno; dovranno ricordarsene quando torneremo a star bene e trarne il debito insegnamento per il futuro.

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