Una serenata contro il Covid

Di Ilaria Fuso

Una storia di amore, di resilienza, ma anche di fantasia. La pandemia ha messo a dura prova il mondo dello spettacolo, ma i due musicisti Claudio de Bartolomeis e Diana Ronca, coppia nella vita e nel lavoro, non si sono arresi alle grandi difficoltà del momento. Da “ambasciatori della Posteggia Napoletana”, gli “Ultimi Romantici”, come amano definirsi, si sono reinventati la classica serenata adattandola ai tempi. Il Corriere dell’Italianità incontra i due artisti, attivi da più di trent’anni con un repertorio interamente dedicato alla tradizione canora partenopea, dal Settecento a oggi. Ecco l’intervista a due voci.

Quali sono state le vostre difficoltà con il sopraggiungere dell’emergenza sanitaria?


Claudio
: “Purtroppo lo scoppio della pandemia è stato un evento assolutamente inaspettato, ma noi abbiamo reagito subito”.

In che modo?

C: “Il primo giorno abbiamo suonato e cantato anche noi dai balconi come tutti. Poi dal secondo giorno di lockdown, abbiamo avviato delle dirette social in cui ci raccontavamo, invitavamo i cittadini a rimanere a casa e suonavamo. Abbiamo avuto un grande seguito”.

Ci sono dei progetti che avete lanciato nel periodo del lockdown?

C: “Tanti, ma il più significativo è quello della serenata online. Ne facciamo molte. Certo, il rapporto con il pubblico non è lo stesso, ma comunque c’è”.

Diana: “Per qualunque professionista dello spettacolo il rapporto con il pubblico è fondamentale: è respiro, è vita. Noi ci siamo adattati alla situazione facendo quanto ci era possibile per non privare il nostro pubblico del dono della musica: è un modo per tenersi in contatto e sentirci più vicini”.

E per il futuro?

D: “Abbiamo progettato un tour internazionale, Ultimi romantici in the world, con il quale saremo presenti in diversi paesi dell’America latina: Argentina, Brasile. Con l’aiuto di un moderatore racconteremo di noi e poi suoneremo: eseguiremo brani per gli italiani all’estero, ma anche per gli stranieri. Il nostro repertorio ci permette di arrivare ovunque senza bisogno di traduzione: parlano i sentimenti e la musica”.

Vi hanno spesso definito come “ambasciatori della Posteggia napoletana nel mondo”. Di cosa si tratta?

D: “La posteggia è un genere musicale originale napoletano. Deriva dal verbo posteggiare ed evoca il fermarsi in un posto e dedicare brani in acustico. Il tipo di posteggia più conosciuto e romantico è sicuramente quello della serenata. La serenata è una posteggia: ci si ferma e si dedica un brano a una persona in particolare”.

Avete la grande responsabilità di essere custodi di questo genere musicale antichissimo. Come vi sentite nell’entrare in contatto con una comunità italiana all’estero?

D: “Abbiamo sempre sentito il desiderio di trasmettere la nostra arte anche fuori dall’Italia e siamo sempre rimasti colpiti dal profondo rispetto e dall’affetto con cui le comunità internazionali accolgono la musica italiana, in particolare il repertorio classico napoletano. Dopo 33 anni di carriera ancora rimaniamo stupiti dal calore con cui veniamo accolti e dal sentimento con cui il pubblico ascolta le nostre esibizioni”.

Come vedete il futuro della musica nell’era post-Covid?

D: “Dopo una battuta d’arresto del genere, se non si è ottimisti come noi si pensa che sia davvero la fine del nostro lavoro. Non usciremo presto da questa situazione e le misure finora adottate per le riaperture in sicurezza sono insufficienti per sostenere il settore dello spettacolo”.

C: “Parlando di ristori e aiuti economici, ci sono delle realtà che vengono sistematicamente ignorate da parte dello Stato: per esempio i lavoratori nell’ambito dell’organizzazione di eventi e cerimonie. Non sono stati presi in considerazione. Ma il cantante non è solo quello che fa concerti riempiendo gli stadi con migliaia di persone o il grande attore di teatro. C’è una grossa fetta di lavoratori dello spettacolo che è stata abbandonata: quella dell’intrattenimento nei ristoranti, negli alberghi, negli eventi e alle cerimonie”.

Voi avete ricevuto sostegni da parte dello Stato?

D: “Qualche aiuto da parte di piccole associazioni di categoria, ma non da parte dello Stato”.

Trattate un genere musicale che si occupa della narrazione dei sentimenti umani. Secondo voi, che ruolo potrebbe avere la musica nella “ricostruzione emotiva” che sarà necessaria nel periodo post pandemico?

D: “La musica ha sempre un ruolo fondamentale. Non appena c’è stato il lockdown molta gente ha avvertito la forte esigenza di sentirsi vicino agli altri attraverso la musica. Sarà fondamentale anche per ripartire. Io non riesco ad immaginare una possibile ripresa senza anche la ripresa del settore artistico. È impensabile: per una questione culturale, identitaria ed etica”.

C: “Abbiamo bisogno della musica, perché la musica è vicinanza e l’uomo non può vivere senza socialità. E la musica è socialità, vita, energia, cuore”.

Il vostro è un sodalizio non soltanto professionale, ma anche romantico. Come vi siete conosciuti?

D: “Eravamo giovanissimi: io avevo 16 anni e Claudio 18. Avevamo un’amica in comune che gli aveva presentato tutte le sue amiche tranne me. Ci siamo incontrati per caso sul lungomare di Salerno. Ci rincontrammo, sempre per caso, quando andai a trovare un mio amico reduce da un incidente. Claudio fu la prima persona che vidi nel corridoio dell’ospedale: era destino che dovessimo rivederci. Da quel giorno è iniziato tutto. 

C: “Io appena la vidi pensai che la nostra amica si era dimenticata di presentarmi la più bella”.

Come vi siete avvicinati, invece, alla musica?

C: “Ero un chierichetto e ho imparato a suonare la chitarra all’oratorio, suonavo anche durante le funzioni religiose. Successivamente ho iniziato a suonare anche la batteria in qualche piccolo gruppo musicale”.

D: “Studiavo pianoforte per diplomarmi al conservatorio. Abbiamo scoperto dopo di avere in comune la passione per la musica”.

Com’è nata l’idea di fare di questa passione un lavoro?

D: “E’ stato tutto stato casuale. Io ho sempre amato cantare. Nel 1987 mia sorella mi presentò due suoi amici che facevano piano bar. Uno di loro ebbe l’occasione di fare una tournée con Pupo e aveva bisogno di una tastierista e mi propose di lavorare con lui. In quegli anni Pupo era all’apice del successo, era il periodo di Gelato al cioccolato, e noi aprivamo tutti i suoi spettacoli; quando io riferii a Claudio di questa proposta lui, geloso, decise di venire con noi. Visto che Claudio suonava la batteria, divenne il percussionista del gruppo. Facemmo 40 date in giro per l’Italia e ci appassionammo all’idea che la musica potesse diventare il nostro lavoro”.

C: “Ufficialmente dissi che non potevamo permetterci di perdere questa occasione”.

Com’è avvenuto l’incontro con il repertorio napoletano?

D: “Per i primi 10 anni di carriera ci siamo dedicati esclusivamente al piano bar, con un repertorio di musica italiana e internazionale, musica leggera e brani ballabili. Poi, casualmente, è nato l’amore per il repertorio classico napoletano. Grazie due coincidenze che ci hanno cambiato la vita”.

Quali?

C: “Una sera fummo chiamati a suonare per un compleanno. Quando arrivammo scoprimmo che si trattava di Roberto Murolo, che compiva 78 anni. Eravamo molto emozionati. Iniziammo con il nostro repertorio, ma gli ospiti chiesero che anche il maestro si esibisse. Lui si avvicinò a me e io gli diedi la chitarra: volevo amplificare il suono, sistemare i microfoni così  da metterlo nella condizione di farsi sentire bene dal pubblico, ma lui mi disse “No, non ti preoccupare, io sono abituato e preferisco suonare senza amplificazione” e io, preoccupato risposi: “maestro, ma il pubblico parla e il chiacchiericcio disturba l’esibizione” e lui replicò: “Non ti preoccupare, ti faccio vedere che in meno di un minuto stann’ zitt’ tutt’ quant’ (stanno zitti tutti). E così fu. Appena iniziò a suonare calò sulla stanza un silenzio quasi religioso.  Questa esperienza ci ha fatto capire che questo è un repertorio intimo, che va sussurrato, va suonato con sentimento e nel silenzio”.

D: “Infatti noi suoniamo ancora senza microfono, senza amplificazione e senza nessun tipo di strumentazione elettronica”.

Poi che cosa successe?

C: “Murolo ci fece i complimenti e ci invitò ad abbracciare questo repertorio, dicendo che non ce ne saremmo pentiti”.

D: “C’è anche un altro episodio importante: stavamo suonando in un locale e un uomo ci chiese di dedicare un brano a sua moglie e di cantare al loro tavolo. Non potendo portare microfoni e tastiere, cantammo con il solo accompagnamento della chitarra. Solo chitarra e voce. Fu la nostra prima volta e l’emozione di tutti i presenti, l’atmosfera di palpabile sentimento che si creò era di una tale intensità, che capimmo di avere trovato la nostra strada: era quella la musica vera, senza orpelli, senza elementi elettronici. Era una musica nuda. Straordinario”.

Quindi il genere di posteggia più amato dal pubblico è la serenata. Ce ne sono state alcune particolari?

C: “Molte sono state scenografiche. La più emozionante è stata in provincia di Frosinone: c’erano solo la madre e la promessa sposa, orfana di padre. Il futuro sposo veniva dalla Sicilia e noi entrammo in casa assieme a lui, cantando. La ragazza e la madre iniziarono immediatamente a piangere dalla commozione.

D: “La più impegnativa è stata una serenata che facemmo a Roma, alla scalinata di Piazza di Spagna in pieno luglio: la piazza era gremita e la prima difficoltà fu capire chi fossero i due innamorati da cui andare. Poi, finita la serenata, non riuscivamo più ad andare via perché la folla di turisti credeva che fossimo un servizio folkloristico offerto dal comune e continuavano a fermarci per chiederci di cantare sempre nuovi brani: non ci lasciavano andare via”.

Il genere della posteggia è un genere musicale ricco di storia. In che rapporto siete con la tradizione?


D: “Nutriamo per la tradizione un profondo rispetto e non ci piacciono gli adattamenti che stravolgono la natura dei brani classici della canzone napoletana.Questi brani vanno conosciuti e apprezzati così come sono, perché è impossibile renderli più belli”.

C: “Noi però al repertorio classico della musica napoletana, che parte dal Settecento, aggiungiamo anche dei brani contemporanei di Pino Daniele, Domenico Modugno e Lucio Dalla”.

Italo Calvino scrisse che un classico “non ha mai finito di dire quel che ha da dire”. Il repertorio classico di musica napoletana cosa dice? Qual è il suo messaggio?

D: Il repertorio classico napoletano è un patrimonio musicale immenso, capace di raccontare la natura umana. Non a caso Lucio Dalla disse che il brano Era de Maggio, di Salvatore Di Giacomo, era la canzone più bella mai stata scritta al mondo. Che per eguagliarne il valore sarebbero servite 100 Yesterday e che Imagine, in confronto, era lo scricchiolio di un armadio”.

Se dovessimo scegliere di elencare i temi principali che la canzone napoletana racconta, quali sarebbero?

C: “Sicuramente i sentimenti: l’amore, il dolore e l’allegria”.

D: “L’allegria è quel saper prendere il buono della vita e trovare il bene e il bello anche nelle situazioni tragiche”.

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