Viaggio nel mondo della contraffazione. Nessun prodotto “è salvo”

Un mercato fiorente che penalizza consumatori e lavoratori

Di Giorgio Marini

Moda e accessori, informatica ed elettronica, giochi, alimentari, ma anche farmaci. Sono i settori più colpiti dalla contraffazione del made in Italy, che vale oltre 30 miliardi di euro a livello globale. Le stime sono state pubblicate dall’Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) e si riferiscono al 2018, tuttavia restano ancora tra le più rigorose e affidabili. Da esse emerge che il commercio mondiale di prodotti contraffatti che violano i marchi registrati tricolori è praticamente pari al 3,6% delle vendite totali del settore manifatturiero italiano tra nazionale e di esportazione (continua a pagina 5).

Nello specifico, rispetto al valore delle merci italiane taroccate e scambiate nel mondo, il 16,7% è costituito dall’abbigliamento, il 15,4% dai prodotti elettronici e ottici, il 13% dall’alimentare. Senza contare la recente rincorsa nel comparto farmaceutico: solo nell’arco di un anno, a partire da gennaio 2020, sono stati sequestrati quasi 100 mila medicinali illegali e clandestini.

DANNI ECONOMICI E NON SOLO

Secondo l’Ocse, 6 falsi su 10 sono andati a consumatori consapevoli di acquistare prodotti falsi. La quota rimanente, invece, è finita in possesso di chi credeva di acquistare originali. Gli articoli piratati che violano i dispositivi di protezione individuale dei titolari italiani provengono principalmente da Cina, Hong Kong e Turchia, ma anche nel Belpaese è stata rilevata una produzione “locale” di falsi. Tutto ciò non può che avere ricadute sulla manifattura, sulle filiere e sull’occupazione. Già tre anni fa il costo pagato dai consumatori italiani che si sono ritrovati tra le mani una merce illegale, che invece credevano autentica, ammontava a quasi 8,3 miliardi di euro. Un enorme danno per grossisti e dettaglianti di quasi 8 miliardi di euro e, per le aziende, parte lesa rispetto alla violazione di marchi e brevetti, pari a 24 miliardi di euro, con un “buco” di 88 mila posti di lavoro regolari solo in Italia. Inoltre, tra mancati pagamenti delle tasse e contributi previdenziali non pervenuti, da contraffazione e pirateria, sempre secondo le stime, sarebbero stati erosi più di 10 miliardi di euro che avrebbero potuto aiutare il sistema sanitario nazionale e i sostegni alle imprese messe in ginocchio dalla pandemia.

CAPI E ACCESSORI I PIÙ COPIATI

Prendiamo, nello specifico, il settore fashion e luxury, quello più colpito dal dilagare dei fake. Il giro d’affari dei falsi made in Italy in questo segmento si aggira sui 5 miliardi e 200 milioni di euro. Capi, accessori, calzature non autentiche finiscono nelle mani dei consumatori tra bancarelle, negozi e siti, causando alle aziende una perdita annua di 1,3 miliardi per mancate vendite. Per i consumatori si tratta di 1,4 miliardi andati in fumo. Questi dati e considerazioni, sempre diffusi dall’Ocse, sono stati condivisi lo scorso autunno da Confindustria Moda al convegno “L’impatto della contraffazione sul settore moda: le esigenze del mondo delle imprese e la risposta delle istituzioni”, realizzato in occasione della quinta edizione della Settimana Anticontraffazione organizzata dal ministero italiano dello Sviluppo economico.

Negli ultimi anni la lotta ai “falsi made in Italy” ha accelerato molto: dai 26 milioni di articoli sequestrati nel 2016 agli oltre 52 nel 2018. Oltre un quarto dei prodotti rintracciati e tolti dal mercato (25,4%) riguarda articoli del settore abbigliamento. Il maggior numero dei falsi (34,2%) sono gli accessori, a cui seguono calzature (16%), gioielleria (7,3%) e occhiali (3,3%).

FORMAGGI E SALUMI BEN POCO ITALIANI

Non va meglio in un altro comparto da sempre vessillo dell’eccellenza made in Italy in tutto il mondo, quello agroalimentare. Oggi più di due prodotti di tipo italiano su tre venduti nel mondo sono falsi con il fenomeno del cosiddetto Italian sounding che colpisce in misura diversa tutti i prodotti. Rispetto a quanto avviene per la moda o per la tecnologia, tuttavia, a taroccare il cibo italiano non sono i Paesi poveri, ma soprattutto quelli emergenti o i più ricchi. In testa alla classifica dei prodotti più contraffatti, secondo la Coldiretti, ci sono i latticini. Non solo “parmesao” brasiliano o “reggianito” argentino: il 90% di quelli di tipo italiano, che circolano negli Stati Uniti, sono in realtà lavorati in Wisconsin, California e New York, dal Parmesan al Romano senza latte di pecora, dall’Asiago al Gorgonzola fino al Fontiago, una sorta di mix tra Asiago e Fontina, ovviamente tutti contraffatti. Per non parlare del salame “Italia”, della mozzarella “Casa Italia”, dell’insalata “Buona Italia”, ma anche la mortadella “Milano” realizzati in Russia. Come ha precisato la Coldiretti, il pericolo riguarda anche la Brexit, con l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea. Basti pensare ai casi, smascherati in passato in UK, relativi alla vendita di falso prosecco alla spina o in lattina fino ai wine kit. A proposito, pure sul fronte di vini e liquori i cloni delle eccellenze italiane si sprecano in Europa e oltreoceano: si va dal Bordolino argentino al Kressecco tedesco, fino al Barbera bianco prodotto in Romania e al Chianti californiano o al Marsala sudamericano.

“SWISS MADE” CONTRAFFATTO

Oltre al “made in Italy” anche il marchio “Swiss Made” è uno dei più ambiti dai falsificatori. In base alle conclusioni di un rapporto commissionato dall’Istituto federale svizzero per la proprietà intellettuale, che analizza l’impatto del fenomeno sull’economia elvetica, basato su dati del 2018-19, emerge che, in quel biennio, il commercio mondiale di merci contraffatte – a opera di organizzazioni criminali e strutture in cui il lavoro abusivo e quello minorile sono più che mai diffusi – che violavano i diritti di proprietà intellettuale della Svizzera ammontava a 7 miliardi di franchi, pari al 2,3% delle esportazioni. I marchi titolari dei legittimi diritti hanno visto calare le vendite, in valore, di 4,5 miliardi di franchi, mentre il governo federale è stato privato di 160 milioni di entrate fiscali. La diffusione di articoli falsi ha anche comportato la perdita di oltre 10 mila posti di lavoro.

OROLOGI, COLTELLINI, CIOCCOLATO

L’orologeria e gioielleria sono in testa, con un commercio globale di modelli falsi, nel primo segmento, che nel 2018 muoveva un fatturato da 3,35 miliardi di franchi, ovvero il 48% del valore totale delle merci contraffatte svizzere. I brand del comparto hanno patito 2 miliardi di perdite, oltre al danno reputazionale. Come si evince dal rapporto, il mercato degli orologi contraffatti è guidato dalla domanda. Il 55% delle persone che acquistano orologi svizzeri contraffatti, osserva l’Ocse, sa che sta acquistando un fake a buon mercato o una cosiddetta replica. I contraffattori reagiscono molto rapidamente ai cambiamenti nelle richieste di segnatempo falsi e sono capaci di adattare le proprie offerte su scala industriale. Nel loro mirino ci sono anche i prodotti dell’industria meccanica, elettrica e metallurgica, con mancati introiti di 1,2 miliardi di franchi. Pensiamo al famoso coltellino svizzero Victorinox: viene riprodotto tanto nelle periferie di Pechino quanto in quelle di Napoli. Ma sono stra-imitati a livello internazionale anche il formaggio Emmental (peccato che cordon bleu, fonduta e quiche non siano certo gli stessi senza l’originale) e il cioccolato svizzero, con improbabili copie di coniglietti Lindt, Toblerone, palline Lindor. Per la Federazione, dunque, occorre intensificare le azioni anticontraffazione: operazioni di sequestro, chiusura di siti clandestini, formazione di agenti di polizia e doganali. Parallelamente vanno promosse e sostenute le campagne di sensibilizzazione presso i consumatori.

falsi salumi made in Italy

VADEMECUM PER I CONSUMATORI. COME DIFENDERSI DALLE TRUFFE

(Dal Ministero italiano dello Sviluppo Economico)

La contraffazione non è sempre evidente. Per evitare di acquistare inconsapevolmente merce contraffatta è tuttavia importante seguire alcune semplici regole di base.

Evitare di comprare prodotti troppo economici; un prezzo troppo basso può essere invitante ma è indice di scarsa qualità; può sembrare un’occasione e invece si compra un prodotto che non dura, e si deteriora molto prima dell’originale.

Per gli acquisti rivolgersi sempre a venditori autorizzati, che offrono evidenti garanzie sull’origine della merce; diffidare di prodotti generalmente commercializzati attraverso canali ufficiali di vendita che vengono proposti per strada o sulla spiaggia da venditori irregolari, in banchetti e mercatini improvvisati, ecc.

Avvalersi, prima di eseguire acquisti di rilevante valore, della consulenza di persone che abbiano maggiore conoscenza del prodotto.

Controllare sempre le etichette dei prodotti acquistati (l’etichetta è la loro “carta d’identità”) e diffidare di quelli con scritte minuscole o poco chiare o privi delle indicazioni d’origine e del “marchio CE”; le etichette più corrette sono quelle che garantiscono la migliore conoscenza del prodotto: trasparenza del marchio, processo produttivo, luogo di produzione e caratteristiche.

Acquistare solo prodotti in confezioni e con imballaggi integri, con il nome del produttore, assicurandosi della loro provenienza e di eventuali marchi di qualità o certificazione.

Prestare cautela per le vendite effettuate “porta a porta”: se non si ricevono notizie precise sull’identità e sui recapiti (telefono, domicilio ecc.) del venditore, è possibile che si tratti di prodotti contraffatti.

Porre particolare attenzione all’acquisto di prodotti proposti su internet o da programmi televisivi, soprattutto nei casi in cui non sia prevista la possibilità di prendere visione della merce prima dell’acquisto e restituirla una volta ricevuta.

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