Vogliamo essere ascoltati o vogliamo parlare e basta?

Intervista esclusiva a Luca Vullo, che racconta la gestualità italiana nel mondo

Di Cristina Penco

Per anni ha girato il mondo portando ovunque il suo spettacolo, “La voce del corpo”, nato da un suo omonimo documentario del 2011 e dedicato alla gestualità italiana in comparazione con quella di altri popoli. Luca Vullo, classe 1979, originario di Caltanissetta, è un autore e regista di cinema, teatro e TV show, formatore professionale, performer teatrale, ambasciatore, per l’appunto, della gestualità italiana all’estero ed esperto di comunicazione non verbale. Ha tenuto corsi e seminari dall’Inghilterra agli Stati Uniti fino all’Australia, dalla Germania alla Norvegia, fino al Sud America e all’Oriente. Non solo in ambito teatrale, ma anche in contesti accademici presso prestigiose università ed enti istituzionali, lavorando con Ambasciate e Istituti Italiani di Cultura in diversi Paesi e rappresentando ufficialmente l’Italia durante la Settimana della Lingua Italiana nel Mondo. Tra le collaborazioni internazionali di primo piano, ricordiamo quella con la Bbc, storica emittente britannica, e con l’Europol, l’ufficio europeo di polizia. Si tratta di competenze ed esperienze maturate nel tempo, e in ambiti differenti e trasversali, da cui ora prendono forma due nuovi progetti, uno editoriale e uno televisivo, che Luca Vullo illustra al Corriere dell’Italianità.

Partiamo da “Il corpo è docente”, il nuovo libro pubblicato da Erickson, in uscita a maggio. Lo ha scritto con Daniela Lucangeli, Professoressa di Psicologia dello sviluppo presso l’Università degli Studi di Padova, è esperta di psicologia dell’apprendimento. Perché questo volume? A chi si rivolge?
“In un momento come quello attuale diventa ancora più cruciale essere consapevoli dell’importanza delle relazioni umane, di una corretta alfabetizzazione emotiva e di una efficace educazione all’ascolto attivo. Il libro nasce proprio per dare a docenti, formatori, educatori una serie di informazioni, suggerimenti mirati e spunti pratici per conquistare, o riconquistare, la capacità di osservare, per rieducarsi all’ascolto, valorizzare e potenziare il modo di usare la nostra voce e il nostro corpo entrando in una relazione più empatica e profonda con gli altri. Io e la professoressa Lucangeli, ognuno con il suo background di riferimento – il mio artistico e teatrale, il suo accademico – raccontiamo l’importanza della comunicazione non verbale nell’insegnamento, un ambito che, come tanti altri nell’ultimo anno, si è trovato alle prese con le possibilità, ma anche i limiti della didattica a distanza svolta sulle piattaforme digitali”.

Skype, Zoom, chat, mail e altri sistemi virtuali sono di per sé “freddi” e tendono ad azzerare l’engagement, il coinvolgimento e la partecipazione attiva di una platea che, nel caso degli studenti, rischia di essere poco attenta in presenza, ancor più in remoto. Quali sono gli errori da evitare per un docente, come per chiunque tenga un incontro online?
Uno dei più ricorrenti è quello di iniziare un discorso lungo, ininterrotto e monocorde. Parlare senza rendersi conto che gli altri non stanno seguendo più, senza interagire col pubblico. Invece penso che in una fase come questa bisogna pensare molto a un discorso fluido, interattivo, dinamico dove le persone vengono coinvolte spesso. Aiuta lo speaker a sentire il polso della situazione. Non è facile, certo. Allo stesso tempo, le webcam permettono di vedere le facce di chi ci ascolta e riconoscere alcuni segni per capire se stiamo sbagliando qualcosa e raddrizzare il tiro. Teniamone conto. Il punto è: vogliamo essere ascoltati o vogliamo parlare e basta?”.



Quali sono le tecniche da usare per raggiungere il primo obiettivo?
“Una, come già anticipato, è l’interattività, ovvero tenere una conversazione coinvolgendo gli altri costantemente. Contemporaneamente occorre osservare molto bene come ci ascoltano gli altri. Hanno la “testa pesante”, che sembra stia per cadere, appoggiata sulle mani? Si stanno “afflosciando” sulla sedia? Sono indici di noia. Oppure notiamo se c’è quella “L” che a volte si disegna con le dita sul viso, il pollice sul mento e l’indice sulla guancia: per gli esperti di body language è un gesto che esprime contrarietà. Il tono della voce, poi: non può essere sempre uguale e “piatto”, ma bisogna infondere nel discorso empatia, pathos, ritmo, soprattutto se si è di natura poco gestuali e molto verbali”.

Dopo un anno di pandemia, impauriti, stanchi e “bloccati” fisicamente, distanziati e isolati, dovremmo riappropriarci de “Il potere nei gesti”, per citare il titolo del suo nuovo e primo programma di intrattenimento televisivo. Cinque puntate da lei condotte, ideate e scritte insieme all’autore e regista italiano Duccio Forzano, dal 6 maggio sulla piattaforma online TVLOFT. Cosa dobbiamo aspettarci?
“Con un taglio divertente e divulgativo, tra leggerezza e approfondimento, racconterò quanto la comunicazione non verbale sia importante per tutti gli esseri umani e analizzerò con ironia le differenze tra la gestualità italiana e quella degli altri Paesi. In particolare, mi concentrerò su alcuni politici nazionali ed internazionali, sulle loro espressioni del viso, su gesti, posture e comportamenti. Qualche nome? Silvio Berlusconi, Mario Draghi, Giuseppe Conte, Angela Merkel, solo per citarne alcuni”.

Ha vissuto molto all’estero. Che idea si è fatto dell’italianità nel mondo?
“Penso che un migrante si porti dietro il meglio e il peggio del proprio Paese ovunque vada, al netto delle caratteristiche caratteriali e dell’etica personale. Noi italiani siamo flessibili, abili al problem solving, ma anche furbi, troppo furbi su certi aspetti, meno avvezzi di altri popoli al rispetto delle regole. Creativi e straordinari su alcuni fronti, indolenti e lazy, come direbbero gli anglosassoni, su altri. In ogni caso siamo estremi. Siamo bianchi o neri, non vedo sfumature di grigio. O ci amano, o ci detestano”.

Da tempo sostiene e divulga la nostra cultura a 360 gradi. Nel 2019 ha anche realizzato uno spot sulla lingua italiana in cooperazione con il Consolato Generale d’Italia a Londra.
“Sì, sempre in cooperazione con il Consolato Generale d’Italia a Londra, in precedenza, nel 2016, avevo realizzato il documentario “Influx” – distribuito sulla piattaforma Netflix – che racconta l’emigrazione contemporanea degli italiani nella capitale inglese. Prima ancora il primo successo nazionale e internazionale era stato “Dallo zolfo al carbone”, scritto, diretto e prodotto nel 2008, dedicato al Patto Italo Belga del 1946 e la conseguente emigrazione italiana nelle miniere di carbone in Belgio”.

Luca Vullo e mamma Angela Gabriele


Nel suo spettacolo teatrale “La voce del corpo”, che ha portato in giro a livello internazionale, ha fatto salire sul palco, insieme a lei, sua madre. Come è stata accolta la sua presenza dagli stranieri?
“Nata e cresciuta in Calabria, siciliana di adozione, mia mamma rappresenta fedelmente la “mamma del Sud” italiana. E io, chiaramente, lo stereotipo del “mammone” italiano! Lei si chiama Angela Gabriele, e per me è davvero come… un angelo! È il mio guru dell’intelligenza emotiva, è la persona che più di ogni altra mi ha insegnato come leggere le emozioni e come trasmetterle. L’altro mio angelo custode è mia sorella Liana, presente in ogni mio progetto. In famiglia ci siamo fatti e continuiamo a farci forza tra noi. Come si vedrà nel programma tv, al termine di alcuni spettacoli in Vietnam e in Malesia le persone facevano la fila per abbracciare mamma, per ringraziarla di ciò che aveva fatto loro provare portando sé stessa sul palco. Un gesto, quello dell’abbraccio, del contatto fisico spontaneo, che oggi più che mai, dopo un anno di pandemia, manca a tutti. È quello che, insieme al sorriso, crea autentica connessione tra gli esseri umani”.

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