Zero Base, il traguardo di una Svizzera a zero emissioni entro il 2050

di Marco Nori, CEO di ISOLFIN Group

Nel 2015, con la firma dell’Accordo di Parigi sul clima, la Svizzera aveva annunciato di voler ridurre entro il 2050 del 70–85 per cento le emissioni. Da allora molte cose sono cambiate, soprattutto la consapevolezza che il pianeta ha poco tempo e sono i paesi più ricchi a dover dare l’esempio. La sbarra degli obiettivi è stata alzata ancora più in alto: nel 2019, il Consiglio federale ha stabilito che entro il 2050, la Svizzera dovrà essere energeticamente neutrale, cioè dovrà ridurre le emissioni a un punto in cui il saldo netto della CO2 prodotta e assorbita sia pari a zero. Questo obiettivo è noto con il nome di Zero Base.

Oltre alla salvaguardia del clima, la confederazione si è data anche un altro obiettivo, altrettanto importante per il suo futuro come nazione: ridurre la dipendenza dall’estero dal punto di vista energetico, ancora più ambizioso se si pensa che intende anche rinunciare al nucleare.

Insomma, l’energia svizzera del 2050 dovrà, almeno nelle premesse, sicura, finanziariamente sostenibile, neutrale sotto il profilo climatico e, per quanto possibile, nazionale.
È un obiettivo colossale, che costerà 1 trilione e mezzo di franchi svizzeri, ma realizzabile, perché prende in considerazione moltissimi fattori, non solo tecnologici, ma anche finanziari e negoziabili.

Per prima cosa le tecnologie dovranno essere introdotte rapidamente e su larga scala.
Barbara Antonioli, economista italo-svizzera esperta di economia delle fonti rinnovabili, crede che servirà puntare molto sull’elettrificazione del sistema e convertire la mobilità a elettricità e idrogeno, incluso il trasporto su rotaia, e che un ruolo importante lo svolgeranno anche le biomasse per il consumo privato, magari sviluppando reti di teleriscaldamento.
Per quanto riguarda la produzione, la parte del leone sembra che la farà il fotovoltaico, nonostante -secondo il mio parere- l’eolico avrà molto da dire nel futuro. Senza dimenticare la grande tradizione idroelettrica che fornisce oggi una buona fetta dell’elettricità che consumiamo, soprattutto in Ticino.

Non c’è solo la produzione, ma anche la meno appetibile riduzione dei consumi, che prevede certe rinunce da parte dei cittadini e l’ottimizzazione dei sistemi. Gli obiettivi prevedono che il consumo nazionale diminuisca del 30% e quello pro capite di oltre del 40%. I giovani sembrano più volenterosi a queste “scomodità” e la politica si sta adeguando per costruirsi un bacino di simpatizzanti fedeli che saranno elettoralmente utili in futuro.

Questo è tutto quello che di pratico può fare la Confederazione, e poi vengono gli altri strumenti, cioè la negoziazione e gli accordi. Raggiungere la neutralità di emissioni non significa necessariamente non emettere, ma anche “comprare il diritto di emettere”.

Esiste un mercato delle emissioni di CO2 che consente a un’azienda che ha ridotto le emissioni di anidride carbonica o altri gas serra di vendere a un’altra azienda questo risparmio sotto forma di un credito. Dunque, un’azienda che non riesce a tagliare a sufficienza le emissioni, può semplicemente comprare il diritto di emetterle da un’azienda che le ha invece tagliate. Per uno stato vale la stessa cosa. È anche questo spirito finanziario che incentiva la conversione alle energie sostenibili, perché il costo maggiore di approvvigionamento energetico può essere coperto attraverso il mercato delle emissioni.
Una delle possibilità di Zero Base è proprio questa.

C’è poi il campo di azione di Zero Base. Si occupa solo di energia. La CO2 prodotta dall’agricoltura o dalle industrie chimiche, farmaceutiche o dell’acciaio, o ancora gli impianti per lo smaltimento dei rifiuti, sono esclusi dal computo, e sono una parte molto rilevante.

Questi fattori nulla tolgono all’enorme lavoro da fare, come cittadini e imprenditori, perché la Confederazione faccia il proprio dovere per ribaltare lo slittamento ambientale del pianeta, come le altre nazioni del mondo. Perché lo sforzo deve essere globale, oppure è inutile se non addirittura dannoso perché genererebbe distorsioni di mercato e diffidenze che presto sfocerebbero in conflitti più o meno intensi. Occorre che tutti facciano la loro parte, in misura delle proprie possibilità.

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