Alberto Sordi, l'arguta ironia e quell'accento che agli inizi non piaceva a tutti
Vent’anni fa, il 24 febbraio 2003, ci lasciava l’attore e regista romano che ha interpretato vizi e virtù dell’italiano medio
di Maria Moreni
Foto: Alberto Sordi in una scena di "Buonanotte… avvocato!" (1955, regia di Giorgio Bianchi)
In quasi 200 film ha dato vita e voce alla maschera dell’“italiano medio”: moralista, pavido, avaro, imbroglione, borioso – salvo qualche raro guizzo di personalità – rimasto impresso nella memoria collettiva. Come, del resto, continua a esserlo il suo creatore a vent’anni dalla sua morte. Stiamo parlando di Alberto Sordi, scomparso il 24 febbraio 2003.
Nella sua lunga carriera cinematografica, l’attore e regista ha raccontato l’Italia dei suoi tempi, alle prese prima con la ricostruzione dopo la Seconda guerra mondiale, poi con la ricchezza e le speranze del miracolo economico, fino alla crisi degli anni Settanta e al rampantismo degli Ottanta.
Nato a Trastevere, nel cuore di Roma, il 15 giugno 1920, Sordi era figlio di un maestro strumentista e di una maestra. Dopo l’infanzia trascorsa nella campagna romana di Valmontone, fece ritorno con la famiglia nella Capitale nel 1937, studiò canto lirico ed entrò a far parte del coro della Cappella Sistina.
Nel 1937, dopo aver vinto un concorso della Metro Goldwin Mayer, ottenne un contratto come doppiatore di Ollio del duo comico in bianco e nero Stanlio e Ollio, inventando la buffa parlata che, in Italia, ha caratterizzato Oliver Hardy. Dal 1947 dimostrò il suo talento in radio con una carrellata di straordinarie macchiette come il compagnuccio della parrocchietta, Mario Pio, il Conte Claro.
Il suo accento tipicamente romano gli valse la bocciatura presso l’Accademia dei Filodrammatici di Milano (che poi, nel 1999, gli consegnò il diploma honoris causa), ma fu la carta vincente che gli permise di diventare famoso sul grande schermo.
Tra i primi a scommettere su di lui ci furono Vittorio De Sica, seppure con una sfortunata pellicola, ‘Mamma mia, che impressione’, e Federico Fellini che lo volle protagonista del suo debutto, ‘Lo sceicco bianco’. Fu un flop, ma non compromise l'amicizia tra i due che tornarono a collaborare – con ben altro esito – ne ‘I vitelloni’. Seguirono successi come ‘Un giorno in pretura’, ‘Piccola posta’ e ‘Un americano a Roma’.
La svolta artistica arrivò negli anni Sessanta con una trilogia importante: ‘La grande guerra’ di Mario Monicelli, premiato al Festival di Venezia col Leone d'oro, ‘Tutti a casa’ di Luigi Comencini e ‘Una vita difficile’ di Dino Risi.
Sordi cominciò a essere chiamato sempre di più dai maestri di della commedia di costume che bacchetta l’italiano medio, con tutti i suoi atteggiamenti, difetti, manie, ma anche sentimenti, senza troppa benevolenza. Sordi impersonava spesso l’uomo qualunque, capace di far ridere anche con toni amari delineando personaggi e caratteri con grande realismo e una comicità garbata, mai esasperata.
Un lato più colto e riflessivo dell’attore emerse da ‘Un borghese piccolo piccolo’, sempre di Monicelli. Nel 1966 si diresse da solo in ‘Fumo di Londra’. Curò la regia di una ventina di film in tutto. Il 15 giugno del 2000 l’allora sindaco di Roma, Francesco Rutelli, cedette per un giorno la sua fascia tricolore all’artista.
Tre anni dopo, il 24 febbraio 2003, Sordi morì. Il suo corpo venne imbalsamato e per due giorni, tutti i suoi concittadini e non solo gli resero omaggio in un'interminabile processione di due giorni al Campidoglio. Al suo funerale a San Giovanni Luterano, a Roma, il 27 febbraio 2003, parteciparono 250 mila persone.
Sulla sua tomba, presso il Cimitero del Verano, è stato inciso l’epitaffio “Sor Marchese, è l’ora”, una famosa battuta tratta dal film ‘Il Marchese del Grillo’, ambientato nella Roma papalina di inizio Ottocento. Lì Sordi vestiva i panni di Onofrio del Grillo, un eccentrico, scherzoso e sprezzante signore dal sangue blu, in fuga dalle responsabilità del titolo nobiliare.