Technoabteil e il mondo dark della musica elettronica. Che è pure una filosofia di vita
di Dario Furlani
“Credo sia molto importante che esista uno spazio
dove non ci siano forme di giudizio” (Julian, uno dei fondatori del Technoabteil)
Numerose sono le specie umane che popolano le strade della città una volta calato il tramonto. In particolare, durante il fine settimana, la giungla urbana offre il suo panorama faunistico più intrigante e, con un occhio un minimo sensibile, non è difficile distinguere i vari ed eventuali abitanti della notte. Una comunità particolarmente interessante è sicuramente quella degli amanti della musica techno, che riunisce sotto il suo vessillo anticonformista un carosello di personaggi piuttosto peculiari.
Nata tra Detroit e Berlino negli anni 80 ed evolutasi grazie alle magiche mani di Giorgio Moroder e del gruppo tedesco dei Kraftwerk, la techno consiste in una musica elettronica in cui le percussioni la fanno da padrone. È infatti piuttosto semplice individuare un elemento ricorrente nel gigantesco sottobosco di generi e correnti che la compongono. Tutti brani presentano un insistente basso che dà a tutto il pezzo un chiarissimo ritmo, religiosamente seguito e reinterpretato a livello di ballo dal pubblico.
Nonostante le accuse che orecchie poco allenate tendono a lanciare, l’elemento compositivo risulta però estremamente più complesso e variegato di quanto ci si possa aspettare. Oltre al fattore musicale (che non verrà approfondito nell’articolo per motivi di spazio e di scarse conoscenze tecniche da parte di chi scrive), un aspetto interessante di questo genere sono gli ascoltatori stessi.
Senza avere testi che la possano politicizzare e darle un orientamento sociale, questa musica è riuscita nel corso dei decenni a crearsi una propria nicchia nel pubblico, che condivide idee, stili di vita ed estetica. Una caratteristica che salta subito all’occhio appena si dà un’occhiata a questo mondo è sicuramente l’estremo senso di libertà e di rilassatezza.
Nonostante gli amanti del genere seguano un’estetica più o meno definita, non esistono etichette di costume e nessuno alzerà un sopracciglio nel vedere un outfit particolarmente stravagante ed eccentrico. L’accento viene invece posto sull’espressione personale, in modo che ognuno si possa sentire a proprio agio e viva la musica come meglio crede.
Non è infatti raro avere delle ‘introduzioni’ all’evento, dove viene chiaramente spiegato che non è ammessa nessuna forma di discriminazione e di odio e viene chiesto di segnalare eventuali episodi spiacevoli.

Una delle espressioni più rappresentative del genere in Svizzera è sicuramente il collettivo zurighese Technoabteil. Nato in contesti underground per organizzare serate di hard-techno (un sottogenere particolarmente intenso, considerato come una delle forme più pure della techno), il gruppo è riuscito in pochi anni a guadagnarsi il rispetto e l’apprezzamento della community. Allestendo eventi di portata sempre più ampia senza snaturare la sua anima underground, la crew si è imposta come riferimento per tutti gli amanti del genere; al punto che le poche serate organizzate durante l’anno sono dei veri e propri appuntamenti per gli appassionati. Abbiamo incontrato Julian, uno dei fondatori del Technoabteil, per farci raccontare che cosa rappresenti la techno a livello sociale e come loro intendano il genere.
Quando è nato il progetto Technoabteil?
“L’idea è nata nel 2018 ma i primi eventi sono arrivati l’anno dopo. All’inizio si trattava di serate piuttosto ‘piccole’. La scena hard-techno è molto cresciuta negli ultimi anni, ma all’inizio avere un pubblico di 250 o 300 persone era un grandissimo successo. Quando è iniziata a esserci la tendenza per questo tipo di musica abbiamo capito che potevamo organizzare eventi più grandi. Il genere si sta diffondendo, soprattutto all’estero, dove i dj specializzati in hard vanno su palchi e partecipano a festival sempre più grandi. Trovo però diverso il carattere e l’ambiente degli eventi di questo tipo in Svizzera: gli artisti esteri che vengono a suonare qui sentono veramente l’energia del pubblico. Suonare a un festival davanti a quattromila persone è diverso rispetto a farlo davanti a 700 persone raccolte in una sola stanza, che ti trasmettono un’energia molto più intensa”.
Perché vi concentrate specificamente sul sottogenere della hard-techno?
“La differenza sostanziale è il pubblico. Questi ascoltatori sono molto più legati al sound, nel loro tempo libero se non ascoltano techno tendono a evitare generi più commerciali come rap o pop. In generale sono molto più immersi nel mondo techno e mostrano un forte attaccamento verso le etichette [discografiche], quindi anche come organizzatore di eventi è un piacere molto più grande allestire una serata per questo tipo di pubblico”.

Come descriveresti il vostro pubblico in confronto al resto degli ascoltatori più generalisti?
“Sicuramente c’è un senso di libertà ancora più intenso. Nella hard ci si può davvero lasciare andare, non ci sono limiti e il pubblico può esprimersi creativamente vestendosi come vuole. Credo sia molto importante che esista uno spazio dove non ci siano forme di giudizio. Vedo questa tendenza anche in altri generi musicali, ma non è così forte come nella hard-techno. Per questo motivo collaboriamo con degli awarness-teams che assicurino la totale mancanza di forme di discriminazione, in modo che tutti possano godersi la serata in tranquillità. Inoltre, alla serata è presente Saferparty, un’organizzazione di volontari del comune di Zurigo che offre test gratuiti sulle sostanze che i partecipanti vogliono consumare. È impossibile vietare al pubblico di consumare certi prodotti, ma se lo vogliono fare vogliamo perlomeno che lo facciano in sicurezza”.
Come avete vissuto la vostra ascesa di popolarità all’interno della community?
“Quando cominci gestisci un evento con poche persone, ma se poi l’intera scena hard-techno inizia a crescere allora inizi per forza di cose ad organizzare serate sempre più grandi. Così perdi l’aspetto underground, perché ovviamente arriveranno anche persone che non appartengono strettamente all’ambiente. Questo è un grande contrasto ed esistono due aspetti della cosa. Se un evento è pieno di gente allora viene percepito come piacevole da una parte del pubblico, ma dall’altro lato questa popolarità non è apprezzata dai raver di vecchia data, che reputano l’evento troppo commerciale, in cui la cultura techno non è veramente presente. L’aspetto underground è fondamentale per questa fetta di pubblico che non apprezza le ‘contaminazioni’ da parte di persone che non appartengono strettamente alla community techno, e che potrebbero quindi rovinare l’atmosfera della serata. Il nostro obiettivo è quindi quello di mantenere l’anima di un piccolo evento fatto per gli appassionati, trasposto però in una location più grande. Cerchiamo inoltre di differenziare i nostri eventi e di imprimere un carattere ben preciso a ogni serata. Cambiamo il locale, la scenografia e le grafiche per renderla un’esperienza unica e dissimile da ogni altra cosa che facciamo”.

Qual è la storia di The Prison, dell’evento di stanotte?
“Abbiamo già collaborato con l’Alte Kaserne [spazio per eventi situato in un’ex caserma militare] un paio di anni fa quando le regole per il Covid permettevano eventi con solo 300 persone. Amo la location e l’atmosfera di questo posto per il tocco retrò che i suoi elementi architettonici trasmettono. La posizione è fondamentale perché siamo direttamente davanti alla vecchia prigione di Zurigo e alla centrale di polizia. Non è un posto moderno e c’è un certo charme nell’accostare della musica elettronica a un luogo così retrò”.