Pietro Mennea, la Freccia del Sud

Dieci anni fa, il 21 marzo 2013, moriva il più grande velocista italiano. Un record del mondo nei 200 metri, 29 medaglie vinte: dove non arrivava il fisico, riuscivano la determinazione e la forza di volontà

di Giorgio Marini

Negli anni Settanta e Ottanta, quando Pietro Mennea scendeva in pista, l’Italia intera si fermava a guardarlo in tv. Lo chiamavano “Freccia del Sud”, un soprannome che significativamente paragonava quel velocista straordinario, originario della Puglia, al famoso treno espresso che collegava Milano con la Sicilia.

Mennea – scomparso improvvisamente, a soli 60 anni, il 21 marzo 2013 per un male incurabile – fu l’unico duecentista della storia a qualificarsi per quattro finali olimpiche consecutive (dal 1972 al 1984). Partecipò pure a Seul 1988, che fu la sua quinta e ultima Olimpiade (da cui, purtroppo, venne subito eliminato).

Figlio di un sarto e di una casalinga, con due fratelli e una sorella, Pietro Paolo Mennea nacque a Barletta il 28 giugno 1952. Fin da bambino Mennea non stava fermo per troppo tempo. Per un po’ giocò a calcio, ma amava soprattutto l’atletica, ed era forte soprattutto nella corsa sulle brevi distanze.

Fisicamente non era molto dotato, se messo a confronto con gli altri suoi rivali in una disciplina in cui svettavano atleti alti due metri e molto muscolosi. Lui, invece, era alto “solo” 1,79 metri per 68 chili.

Tuttavia, Pietro riuscì a ottenere risultati eccellenti grazie a una forte determinazione e ai duri allenamenti sotto la guida dell’allenatore Carlo Vittori. “Se ho fatto quello che ho fatto”, ha dichiarato Mennea, “lo devo solo a una cosa: che ho lavorato come un pazzo. Anche sei ore al giorno. Mi allenavo sempre, anche di nascosto. Perfino il mio allenatore, Carlo Vittori, spietato come me, ogni tanto mi diceva che potevamo andare, che avevamo finito. Ma io niente, andavo avanti, perché non ho mai avuto paura della fatica…”.

A 19 anni Mennea si fece notare classificandosi in sesta posizione sui 200 m ai Campionati Europei di Helsinki 1971. Mise a segno, poi, due primati del mondo (19,72″ sui 200 m nel 1979, tempo battuto poi alle Olimpiadi del 1996 da Michael Johnson con 19"66, e 1′21,5″ con la staffetta 4x200 m), otto primati europei (il 10,01″ sui 100 m, durato cinque anni) e 33 record italiani. In campo europeo conquistò sei medaglie, tra cui tre ori (sui 200 m nel 1974, sui 100 m e 200 m nel 1978). Ai blocchi partiva con relativa lentezza, poi, però, progressivamente accelerava riuscendo a raggiungere velocità superiori a qualunque altro rivale.

Indossò la maglia azzurra per una cinquantina di volte. Partecipò a cinque edizioni dei Giochi Olimpici: Monaco nel 1972, Montreal nel 1976, Mosca nel 1980, Los Angeles nel 1984, Seul nel 1988. Quando, dopo la Corea del Sud, si ritirò definitivamente (già nel marzo 1981 e poi nel 1984 aveva annunciato il suo abbandono, per ritornare poi sui suoi passi), aveva ottenuto successi senza precedenti per un campione italiano.

Lasciato definitivamente il mondo dell’atletica, Mennea prese in tutto quattro lauree (Scienze Politiche, Scienze Motorie, Giurisprudenza e Lettere) e iniziò a lavorare da libero professionista in qualità di commercialista e procuratore legale. Operò pure come insegnante e curatore fallimentare.

Fu anche eletto al Parlamento europeo dal 1999 al 2004. Divenne il relatore del rapporto sullo sport, incarico che affrontò con la sua esperienza e con le sue competenze professionali.
Si spense il 21 marzo 2013, tre mesi prima del suo sessantunesimo compleanno, in una clinica di Roma, a causa di un tumore al pancreas.

Foto: Pietro Mennea, 1972. Sergio Del Grande, Public domain, via Wikimedia Commons

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