La Storia d’Italia attraverso la storia di vita di Corrado Augias

La vita s’impara ripercorre sì la storia dello scrittore e giornalista RAI, ma pure, nella sua tradizione, pezzi di storia che ha attraversato e personaggi fondamentali della sua formazione.

di Amedeo Gasparini 8 luglio 2024

 

Corrado Augias ha scritto un libro – La vita s’impara (Einaudi 2024) – che ripercorre sì la sua storia, ma pure, nella sua tradizione, pezzi di storia che ha attraversato e personaggi fondamentali della sua formazione.

Si parte dalle riflessioni di Silvio Pellico, l’autore de Le mie prigioni: «Scrivi la tua vita velando, aggiungendo, modificando – ed ecco un romanzo». È un po’ la linea guida del libro di Augias. Che scrive: «Conoscere sé stessi è un compito doveroso che può diventare spiacevole».

Tra le prime memorie dell’autore ci sono gli americani che arrivano a Roma e che distribuiscono la proverbiale cioccolata, ma anche sigarette e gomme da masticare. Tuttavia, come Augias ricorda, sono tante anche le bombe che hanno dilaniato la capitale. Poi gli anni del collegio – «ricordo piuttosto la malinconia delle ore pomeridiane, la noia delle funzioni religiose».

Il nome Augias è di origine catalana, ma è diffuso in Provenza. Il padre era mite; era a Tobruch il giorno in cui l’aereo di Italo Balbo fu abbattuto. La madre era una donna severa. Una volta gli tolse dalle mani l’Elogio della follia di Erasmo da Rotterdam pensando che fosse chissà cosa. Nel libro, Augias ripercorre la storia degli autori che ha amato. Niccolò Machiavelli, Theodor Herzl, Walt Whitman, Antonio Gramsci, Bertolt Brecht, Giordano Bruno, Ludwig Feuerbach, Sigmund Freud, Baruch Spinoza, Giacomo Leopardi.

Tramite Albert Camus -che nel suo libro L’uomo in rivolta ha scritto «La vera passione del ventesimo secolo è la servitù» - e Étienne de La Boétie (che, nel suo discorso divenuto famoso, sostiene che un tiranno si mantiene al potere fino a quando glielo permettono i sudditi), l’autore ci porta nei problemi del presente. «Il populismo enfatizza il rapporto diretto tra un leader carismatico e il popolo, azzera la funzione delle istituzioni, critica o irride le élite politiche e culturali».

Augias traccia il volto del populismo italiano a partire da Gabriele D’Annunzio nel 1914 fino a Guglielmo Giannini nel 1944 e a Silvio Berlusconi nel 1994. Nel frattempo, l’Italia è evoluta, cambiata. Trasformazioni economiche, di costume, antropologiche. Nell’igiene, nello sport, nella cultura; ovunque. Eppure, il comportamento guicciardiniano è rimasto (per Francesco Guicciardini scrittore e storico italiano del 1500, autore della Storia d'Italia, gli uomini devono porsi come obiettivo il conseguimento del “particolare”, ovvero il raggiungimento dell'interesse personale, della dignità e del proprio successo).

Il critico letterario Francesco De Santis, uno dei punti di riferimento di Augias, ha parlato a più riprese di generazioni fiacche e corrotte. «Quasi nulla dell’Italia che vedo oggi corrisponde all’Italia che ho cominciato a vedere alla fine degli anni Quaranta». Certo, di passi avanti ne sono stati fatti rispetto al paese bigotto, agricolo e patriarcale di un tempo.

Augias entrò in RAI il primo luglio 1960 come funzionario e poi come collaboratore: «ho assistito al declino di un’azienda fiorente oggi ridotta come tutti sanno», commenta amaramente. La RAI ha insegnato a milioni di italiani a parlare la lingua, scrive.

Poi piano piano la carriera, iniziata con “Telefono giallo”. «Milioni di persone restavano affascinate a sentire le nostre ricostruzioni, animate in studio dalla presenza di avvocati, congiunti, testimoni».
I temi di un paese sconfitto che usciva dal cono d’ombra: il consumismo, l’omosessualità di Pier Paolo Pasolini, l’immaginazione di Italo Calvino, la corruzione, l’influsso della società post-industriale, il Concilio Vaticano II. Sposato nel 1963, della moglie Augias non fa accenno o quasi. Poi gli anni dei mutamenti di costume, i diritti individuali, il cinema, il Sessantotto – che l’autore osserva dall’America – e il terrorismo. A New York collaborava con l’Espresso, sotto Mauro Calamandrei.

La strage di Piazza Fontana, l’assassinio di Aldo Moro, lo statuto dei lavoratori, il divorzio e l’aborto. Poi la rivincita del reaganismo – ma in materia, Augias si focalizza più su un saggio che fece molto discutere al tempo, ovvero L’oppio degli intellettuali di Raymond Aron.

Non può mancare il capitolo sul quotidiano La Repubblica, uscita il 14 gennaio 1976. Il primo giornale a nascere con una ambizione di voler essere un foglio nazionale, conferma Augias. Moderno, con un nuovo formato, più maneggevole. Con la terza pagina al centro. Quasi a confermare quel connubio tra giornalismo e letteratura, oggi impensabile.

Ha ricordato Eugenio Scalfari che il giornale si prefiggeva anzitutto un ambizioso scopo politico. Cioè, creare una terza forza tra le due in cui si era polarizzata la vita politica del paese. Un gruppo, precisa Scalfari, che sentiva profondamente i valori occidentali avendo come retroterra culturale i principi della Rivoluzione francese e di quella americana, a favore di una federazione europea. «Scalfari, che è stato il mio maestro, che ho frequentato per buona parte della mia vita professionale», scrive Augias.

Poi le tre città del cuore: Roma, Parigi e New York. La città eterna l’ha conosciuta “a pezzi”. Negli anni Sessanta Roma era bellissima, rievoca. L’anno delle Olimpiadi, della “dolce vita”, di Alberto Sordi. Immancabilmente, qualche pagina sul Fascismo: Galeazzo Ciano e Giovanni Gentile stavano ai Parioli, che sotto la dittatura divenne il quartiere della borghesia. Quella borghesia, ricorda Augias, che era arrivata a Roma con i piemontesi dopo il 1870.

Poi la Ville Lumière, un sogno. Frenetica, caotica, moderna. A Montmartre andò la prima volta attirato «da quella che credo sia la più brutta chiesa della città, dedicata al Sacro Cuore». Stupenda, vecchia e nuova, un mito, Parigi. Alla quale Augias ha dedicato libri e trasmissioni tv. Postilla sulle catacombe: le più famose si trovano a Place Denfert-Rochereau, segnata dalla copia del Leone di Belfort scolpito da Auguste Bartholdi, padre della Statua della Libertà.

Il libro racconta delle peripezie di Napoleone Bonaparte, poi Alexandre Dumas; l’attivismo di Piero Gobetti e Carlo Rosselli, i suoi modelli politici, entrambi assassinati dai fascisti e sepolti nella capitale francese. A Parigi, anche la rinascita italiana, se vogliamo. Il 10 agosto 1946 quando si recò alla Conferenza di pace di Parigi, Alcide De Gasperi chiese alle potenze vincitrici di non infierire sull’umiliata condizione di vinti. Concluse con un appello: «Signori Delegati, vi chiedo di dare respiro e credito alla Repubblica d’Italia: un popolo lavoratore di quarantasette milioni è pronto ad associare la sua opera alla vostra per creare un mondo più giusto e più umano».

Conclude Augias, su una nota dolce: «In realtà io l’America non l’ho scoperta arrivandovi per la prima volta nel 1965 dopo otto giorni di navigazione Napoli – New York. L’ho scoperta verso le tre del pomeriggio del 4 giugno 1944, non avendo nemmeno dieci anni».

 
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