Giacomo Matteotti: uomo scomodo, eroe nazionale
Il deputato socialista ucciso il 10 giugno 1924, un secolo fa, è ricordato pressoché in ogni paese in Italia. Le parole attribuite a Matteotti morente «Uccidete me, ma l’idea che è in me non la ucciderete mai», divennero un simbolo popolare.
di Amedeo Gasparini 25 aprile 2024
Non è vero, come scrivono nel sottotitolo del libro Il nemico di Mussolini (Solferino 2024) Marzio Breda e Stefano Caretti, che Giacomo Matteotti sia un “eroe dimenticato”. Il deputato socialista ucciso il 10 giugno 1924, un secolo fa, è ricordato pressoché in ogni paese in Italia. Gli autori ripercorrono la biografia del più acuto oppositore di Benito Mussolini. E iniziano dalla fine: il corpo senza vita di Matteotti venne trovato il 16 agosto 1924, due mesi dopo il rapimento. Il delitto rappresentò la crisi più grave per il Duce, che si scoprì vulnerabile. Tanto è vero che poi varò le leggi 'fascistissime', sopprimendo ogni libertà politica.
Mussolini assoggettò la nazione e stroncò le voci dissonanti, alimentando la zona grigia silente per due decenni, per conformismo o per paura. Matteotti rappresentava una minaccia per il regime poiché aveva riconosciuto precocemente i segnali della svolta autoritaria fascista. Aveva documentato l’evoluzione verso un clima di terrore in “Un anno di dominazione fascista”, tradotto pure in inglese, francese e tedesco. Si dice che anche solo sentire menzionare il nome di Matteotti scatenasse reazioni nervose nel Duce. Oltre a predisporre la sorveglianza nel cimitero dopo il funerale, Mussolini fece pedinare regolarmente la vedova Velia Matteotti e i tre figli. Ancora oggi, il caso Matteotti è un enigma. C’è sempre chi presenta verità alternative discutibili, mirate a minimizzare o negare il coinvolgimento di Mussolini nel suo assassinio.
Giacomo Matteotti nacque il 22 maggio 1885. Suo fratello, Matteo Matteotti, esordì nel campo dell’economia e del diritto, ricevendo gli apprezzamenti di Luigi Einaudi. Matteo morì prematuramente, lasciando al fratello il compito di portare avanti l’impegno politico verso il socialismo riformista. Nel frattempo, Giacomo Matteotti si distinse nel campo del diritto penale, ricevendo persino i complimenti da parte di Alfredo Rocco. Partecipò ai corsi di diritto e procedura penale tenuti da Alessandro Stoppato. E nel 1907, conseguì la laurea in legge con il massimo dei voti e la lode sui principi generali della recidiva. Trascorse alcuni mesi in Inghilterra, Germania e Austria-Ungheria. Come ha scritto Leonardo Sciascia: «Matteotti era stato considerato, tra gli oppositori del fascismo, il più implacabile non perché parlava in nome del socialismo [...] ma perché parlava in nome del diritto. Del diritto penale».
Amante dello sport, Matteotti era appassionato di automobilismo e nel tempo libero frequentava teatri e cinema. Breda e Caretti delineano anche la biografia di sua moglie Velia che incontrò Giacomo nel 1912, durante una vacanza estiva. Rimasta orfana di madre e con un padre che era scappato, Velia, cresciuta e istruita in istituti religiosi, trovava conforto nello zio, il famoso baritono Titta Ruffo. Nel 1908, pubblicò dei componimenti poetici.
Velia e Giacomo decisero di sposarsi, ma Giacomo si oppose al matrimonio religioso. Alla fine, nel 1916, Velia accettò la cerimonia civile, a Roma. Nel frattempo, Matteotti si impegnava nell’organizzazione socialista, comprese le associazioni operaie, le imprese, le cooperative, le leghe, le case del popolo, i circoli ricreativi e educativi e le amministrazioni comunali. Mostrò sempre antipatia verso la demagogia e l’estremismo retorico, criticando gli anarchici e i sindacalisti rivoluzionari.
Già nel 1913 cominciò a polemizzare contro Mussolini. Refrattario alle idee dannunziane, la sua opposizione alla guerra emerse nel 1912 durante il conflitto in Libia. Preoccupato dalle implicazioni economiche e politiche del Trattato di Versailles, voleva promuovere pace e solidarietà tra i popoli. Nel febbraio 1923, Matteotti era a Lille, dove scrisse -insieme con i segretari dei partiti socialisti francese, belga, tedesco e inglese- un appello alla Società delle Nazioni chiedendo una revisione delle ingiuste condizioni economiche imposte alla Germania. Favorevole alla creazione di una confederazione europea, affermò che «il socialismo non è via facile e piana [...]. È via lunga ed aspra, il sacrificio dei propri egoismi immediati alla collettività».
Matteotti si impegnò per promuovere un’alleanza con altre forze antifasciste, difendendo le libertà democratiche. Deputato nel 1919 e confermato nel 1921 e nel 1924, alla Camera si distinse per la sua solida cultura giuridica e la competenza in materia economica, criticando ogni irregolarità nei bilanci e nelle spese erariali. Inizialmente, i suoi discorsi suscitarono riserve da parte di Filippo Turati e Anna Kuliscioff. Nel complesso, l’attività parlamentare di Matteotti fu intensa, giacché presentò progetti di legge, partecipando a dibattiti e formulando mozioni. A differenza dei massimalisti e dei comunisti («un governo borghese vale l’altro»), dopo la marcia su Roma, Matteotti si rese conto che il governo Mussolini non era una delle solite varianti dei governi borghesi tradizionali.
La sua ferma condanna del fascismo attirò subito l’odio degli squadristi. Nel 1922 Matteotti partecipò a colloqui con Don Luigi Sturzo per un’unità politica, ma senza successo. Riteneva che il compito principale del Partito Socialista Unitario fosse isolare il fascismo, promuovendo una vasta coalizione antifascista e ampliando la sua influenza sui ceti medi. All’inizio del 1923, pubblicò anonimamente le direttive del PSU, in cui chiarì la concezione socialista dello Stato come istituzione rappresentativa di tutti i cittadini. Ribadì pure la creazione di una vera Società delle Nazioni. Il già citato “Un anno di dominazione fascista” fu una requisitoria contro i metodi e i risultati della dittatura, come valutato da Gaetano Salvemini. Svelò l’ipocrisia dei fascisti che si auto-proclamavano restauratori dell’ordine e difensori dell’autorità dello Stato, mentre in realtà erano soppressori delle libertà.
Nel 1924, la Camera fu sciolta e, in vista delle elezioni, Matteotti ebbe un colloquio con Angelo Tasca. «Noi vogliamo lottare contro il fascismo in nome della libertà, voi della dittatura. C’è tra noi un dissidio di principio insuperabile. [...] Siete disposti a dichiarare che rinunciate alla dittatura, che siete contro tutte le dittature? Se sì, possiamo senz’altro far la lista comune; se no, ciascuno deve andare per la propria strada». Il PSU ottenne il 5,9 per cento dei voti e 24 seggi; il PSI il 5 per cento e 22 seggi; il Partito Comunista d’Italia il 3,7 per cento e 19 seggi.
Nonostante fosse privo del passaporto, Matteotti compì il suo ultimo viaggio all’estero per partecipare al Congresso del Partito Operaio Belga e per incontrare alcuni esponenti del Labour Party e delle Trade Unions a Londra. Visitò anche Lugano, Strasburgo, Bruxelles e Gand. Nel celebre discorso alla Camera del 30 maggio 1924, Matteotti denunciò il clima intimidatorio che avevano caratterizzato le elezioni. «L’oppositore più intelligente e irriducibile», lo definì Piero Gobetti.
La propaganda del regime fascista cercò di far passare l’omicidio Matteotti come una vendetta interna alla sinistra. Amerigo Dumini – trent’anni, figlio di un mercante d’arte fiorentino e di madre britannica, nato in Missouri – decise di prendere un treno diretto a Milano, ma fu fermato nel suo tentativo di fuga. Fu identificato come l’esecutore materiale dell’omicidio del parlamentare socialista.
«Vi sono due morti, Matteotti e Mussolini», commentò Ugo Ojetti. «E l’Italia è divisa in due: quelli che piangono per la morte dell’uno, quelli che piangono per la morte dell’altro». I fascisti approvarono un’amnistia per i crimini politici, escluso l’omicidio – e dunque, dopo un processo che fu una farsa, Dumini fu condannato all’ergastolo. Rilasciato nel 1956, sarebbe morto undici anni dopo per un incidente.
Dopo il caso Matteotti, i partiti antifascisti decisero di boicottare le sedute della Camera e protestarono dall’Aventino. Speravano che, puntando sull’opinione pubblica, potessero provocare l’intervento della Corona per costringere Mussolini alle dimissioni. Tuttavia, Vittorio Emanuele III non intervenne. Mussolini, chiedendo la fiducia al Senato, ottenne un ampio consenso con 225 voti favorevoli – compreso quello di Benedetto Croce. Solo 21 contrari e 6 astenuti, segnando la fine delle speranze di opposizione. Le parole attribuite a Matteotti morente «Uccidete me, ma l’idea che è in me non la ucciderete mai», divennero un simbolo popolare.
Nel 1925, Sandro Pertini, che si era iscritto al PSU subito dopo l’omicidio di Matteotti, fu condannato a otto mesi per aver attribuito al governo Mussolini l’assassinio. Carlo Rosselli osservò: «Matteotti è diventato il simbolo dell’antifascismo e dell’eroismo antifascista». Mussolini, in una lettera a Gabriele D’Annunzio del settembre 1924, confessò: «Mi hanno fatto barcollare e soffrire». Proprio il 10 giugno 1940, anniversario dell’omicidio, il Duce annunciava l’entrata dell’Italia in guerra.