Grande successo di pubblico a Locarno per il film del regista zurighese Samir
Il film La prodigiosa trasformazione della classe operaia in stranieri debutta fuori concorso al Locarno Film Festival. Una sorta di «apartheid silenziosa» rievocata con testimonianze, scene di film e servizi giornalistici, interviste, immagini d'archivio, sulla vita degli immigrati (soprattutto italiani) arrivati in Svizzera negli anni ’60.
Di Redazione 14 agosto 2024
È stato presentato in anteprima mondiale a Locarno il film La prodigiosa trasformazione della classe operaia in stranieri del regista zurighese Samir, nato a Bagdad sessantanove anni fa. La pellicola, fuori concorso, è stata accolta da un pubblico entusiasta e attento nella sala stracolma del Palacinema, e da vivaci e profonde recensioni nei giornali.
È la storia di un bambino iracheno, Samir, che come il regista raggiunge Zurigo dopo un viaggio in treno in una fredda notte d’inverno. Era fuggito con la famiglia dall’Iraq, paese in cui il padre, militante comunista, era inviso al regime al potere. Il piccolo scopre per la prima volta il candore della neve, la calma e il silenzio delle strade. È l’unica scena fiabesca, quasi onirica, del film, sottolinea il giornalisto e critico cinematografico Antonio Mariotti nel Corriere del Ticino.
Il critico mette in evidenza l’importanza della pellicola che di fatto, più che un film, è un gran documentario, un “kolossal”, scrive Mariotti, della durata di 130 minuti: “Ma non sono troppi”, aggiunge. Il regista Samir ha raccolto le testimonianze di migranti soprattutto italiani, in Svizzera. L’aspetto biografico è presente, lo stesso Samir è infatti arrivato in Svizzera con la famiglia negli anni ’60.
Per il resto, scrive Antonio Mariotti, “il film è un documentatissimo e lucidissimo pamphlet sul tema dell’immigrazione in Svizzera dagli anni Cinquanta ai giorni nostri. Un calibratissimo collage di documenti d’archivio, spezzoni di film ed interviste ad esperti in materia, ma soprattutto a testimoni diretti di quella che appare come una storia infinita di dolore e di razzismo le cui ferite non si sono ancora rimarginate”. Fra i migranti che appaiono nel film, nel ruolo di sé stesso c’è Toni Ricciardi, storico dell’Università di Ginevra e, da due anni, anche deputato al Parlamento, eletto nel collegio estero europeo.
Dall’opera di Samir, dice Ricciardi in un’intervista al Corriere del Ticino, emerge chiaramente in che modo “la classe operaia, soprattutto quella italiana, abbia contribuito al benessere e alla spinta economica della Svizzera, uno dei Paesi che nel secondo dopoguerra ebbe una crescita di prodotto interno lordo maggiore rispetto al consesso europeo. In parte, per ovvie ragioni geopolitiche, avendo un impianto industriale intatto e non colpito dal conflitto mondiale. E in parte perché riuscì a ritardare la propria rimodulazione industriale fino alla metà degli anni ’70, quando anche qui iniziarono ad arrivare le avvisaglie della crisi petrolifera”.
“Il lavoro di ricerca è durato tre anni”, detta il regista alle agenzie. “La mia squadra di collaboratori e collaboratrici è giovane e molti di loro non sapevano nulla di quanto accaduto. Mi ha sorpreso quanto queste storie siano state dimenticate. Il motivo principale credo sia legato al fatto che molte immigrate e immigrati italiani non vogliono più parlare di quanto vissuto, preferiscano lasciarlo nel passato”.
Dagli anni sessanta, dall’iniziativa Schwarzenbach in poi, fino ad oggi, la pellicola rievoca la vita agra degli immigrati e immigrate in Svizzera, con testimonianze, scene di film e servizi giornalistici, interviste e immagini d’archivio. Fra razzismo sociale, discriminazioni e prevaricazioni. “Purtroppo, dopo tutto, è come se non avessimo imparato pienamente la lezione, conclude Samir. Oggi la Svizzera è un Paese profondamente cambiato, è un luogo dove convivono in armonia più culture. Ma ci sono comunque leggi che limitano fortemente la possibilità di essere naturalizzati”.