L’impegno civile e la denuncia sociale conquistano il Festival del film di Zurigo
Si è conclusa la ventesima edizione della kermesse cinematografica zurighese. I film premiati condividono un unico tema: la drammatica realtà della violenza sessuale. Un festival da record, in tutti i sensi.
Di Antonella Montesi 13 ottobre 2024
Lo Zurich Film Festival ormai è adulto, ha festeggiato quest’anno i vent’anni di vita, non sono pochi, soprattutto per un festival che agli inizi venne guardato con scetticismo, chiedendosi se ci fosse bisogno di un’ennesima kermesse nella piccola Svizzera ricca di festival cinematografici.
Invece il Festival del film di Zurigo ha dimostrato di aver ottenuto un ruolo di primo piano nel panorama festivaliero mondiale, ha compiuto nel corso degli anni un percorso che gli ha conferito un’identità propria, ha promosso l’internazionalità cinematografica in una città che solitamente predilige un profilo basso, ma ha anche dato grande risalto al cinema svizzero.
Il nuovo centro del festival in Sechseläutenplatz ha stabilito un nuovo record di presenze: 140mila visitatori. «Il festival gode di una eccellente reputazione internazionale e di una popolazione locale che lo sostiene pienamente», ha dicharato durante la cerimonia di chiusura il direttore artistico Christian Jungen.
L’edizione 2024 ha accolto alcuni dei più grandi nomi del cinema, Richard Gere, Kate Winslet e Jude Law, che il pubblico ha avuto modo di conoscere da vicino nelle masterclass o nei generosi bagni di folla sul tappeto verde. E poi film di impegno civile e politico, e film meramente e squisitamente più cinematografici.
Ha vinto l’impegno civile. Nelle tre categorie del festival sono state premiate pellicole che trattano di un tema di tragica attualità, senza confini temporali: la violenza sessuale. «On becoming a Guinea fowl», della regista zambiana Rungano Nyni, è stato premiato fra i film in concorso; «Black Box Diaries», della giapponese Shiori Ito, ha conquistato sia la categoria del miglior documentario che il premio del pubblico.
A noi ha sorpreso ed è molto piaciuto un film dal quale non ci aspettavamo molto: «The last Showgirl» di Gia Coppola, con una sorprendente Pamela Anderson, ben lontana dai ruoli per cui è diventata famosa. Un film quasi metafilmico, con richiami forti e nostalgici alla migliore cinematografia hollywoodiana, in cui la carriera crepuscolare della protagonista, una soubrette di Las Vegas, ricorda la parabola discendente di una star bien più iconica, la Gloria Swanson del meraviglioso «Viale del tramonto» di Billy Wilder.
Ma forse la vera stella «cadente» di questo film è il suo unico attore protagonista maschile, Dave Bautista. Ce lo ricordiamo tutti nei ruoli di forzuto e cattivo, qui interpreta invece un buono e malinconico personaggio, molto bello. Cenno d’obbligo alla regia: è di Gia Coppola, figlia di Giancarlo Coppola, a sua volta figlio di Francis Ford Coppola, morto a 22 anni in un incidente, quando Gia non era ancora nata. Buon sangue non mente: una tra le più belle regie del festival, da non perdere.