Ancora oggi in Svizzera chiunque può essere oggetto di discriminazione
L’articolo 8 della Costituzione federale sull’uguaglianza giuridica obbliga dal 1981 il legislatore a garantire l’uguaglianza di diritto e di fatto. Dal 1996 la legge federale sulla parità dei sessi protegge le persone dalla discriminazione basata sul sesso sul posto di lavoro, dall’annuncio di lavoro fino alla risoluzione del contratto d’impiego.
Di Nora Picchi* 16 ottobre 2024
La legge sulla parità dei sessi implica due regolamentazioni particolari. Da un canto, c’è il cosiddetto alleviamento dell’onere della prova: si presume l’esistenza di una discriminazione riguardo all’assunzione, all’attribuzione dei compiti, all’assetto delle condizioni di lavoro, alla retribuzione, alla formazione e alla formazione continua, alla promozione e al licenziamento per quanto la persona interessata la renda verosimile; essa non deve quindi provarla. Pertanto, è compito del datore di lavoro dimostrare che non vi è stata alcuna differenza di trattamento o che questa era basata su criteri oggettivi. Sono esclusi dall’alleviamento dell’onere della prova i casi di molestie sessuali o di mancata assunzione. In questi casi è la parte attrice a dover fornire le prove.
La seconda differenza importante riguarda le spese processuali. Per i procedimenti nell’ambito della legge sulla parità dei sessi non vengono riscosse spese procedurali, a meno che non si tratti di malafede o temerarietà processuali. Inoltre, durante la procedura relativa alla legge federale sulla parità dei sessi (LPar) vige una protezione accresciuta dal licenziamento.
I tre casi seguenti illustrano l’applicazione della legge sulla parità dei sessi nella vita di tutti i giorni.
Caso 1: Quando a predominare è il pregiudizio
Un educatore dell’infanzia si candida per un impiego presso un asilo nido. Nonostante abbia la formazione necessaria e la sua documentazione di candidatura sia stata giudicata molto promettente, riceve un rifiuto. La motivazione della direzione: al momento l’asilo nido non prevede di assumere collaboratori uomini. Poiché in altre strutture si sono verificati casi di cattiva condotta sessuale da parte di educatori maschi, anche diversi genitori sono contrari a far accudire i propri figli da un uomo. Inoltre, a causa delle limitate risorse finanziarie, l’asilo nido non potrebbe sostenere l’educatore in caso di controversia con dei genitori. (www.gleichstellungsgesetz.ch/d103-1940.html)
Decisione: L’autorità di conciliazione ha ravvisato una discriminazione per rifiuto di assunzione (art. 3 LPar). Le parti si sono infine accordate per un indennizzo di 8000 franchi.
Caso 2: Diversa ponderazione per la rimunerazione
Per diversi anni, la dipendente di un’azienda che si occupa di cibersicurezza scala i livelli gerarchici, fino a diventare caporeparto e ad assumere la responsabilità di altri reparti. In seguito scopre che alcuni membri del suo team ricevono uno stipendio annuo maggiore del suo (bonus e partecipazione ai risultati inclusi). Anche il capo di un reparto a lei sottoposto guadagna di più. Dopo una procedura di conciliazione infruttuosa, la lavoratrice dà le dimissioni e si rivolge al tribunale per ottenere un risarcimento e la differenza di salario a suo avviso dovuta (www.leg.ch/jurisprudence/arret/tf_ge_8.11.2023)
Decisione: Il tribunale ha considerato probabile una discriminazione salariale rispetto a persone subordinate, ma il datore di lavoro ha potuto spiegare la differenza temporanea di rimunerazione con motivi oggettivi come la formazione, l’esperienza, l’età o l’anzianità di servizio. I tribunali sono pertanto giunti alla conclusione che non sussisteva alcuna discriminazione salariale.
Caso 3: Aggressioni nelle cure a domicilio
Una domestica prossima al pensionamento lavora da quattro anni a tempo parziale per una coppia di anziani ed è responsabile della cucina e della casa. Il marito la molesta sessualmente, dapprima con barzellette allusive, poi con abbracci e tentativi di baciarla. La domestica si oppone e chiarisce di non essere impiegata per soddisfare i bisogni intimi dell’uomo. Poiché il marito è malato e sta assumendo medicamenti che causano un aumento del desiderio sessuale, lei si dimostra comprensiva, ma desidera tutelarsi. A seguito dell’ennesimo abuso, informa la moglie e la figlia adulta, le quali però non adottano alcun provvedimento. La moglie si sente sopraffatta, la figlia ritiene che sia la sua parola contro quella del padre. Dopo un altro episodio, la collaboratrice domestica si mette in malattia. I colloqui per trovare una soluzione non portano a nessun risultato e la moglie smette di versare il salario. La domestica presenta un’istanza di conciliazione e una denuncia penale. Il rappresentante legale della coppia minaccia un’azione di diffamazione e contesta le accuse. La domestica si licenzia in tronco ed esige i salari arretrati e quelli dovuti in caso di disdetta ordinaria. (www.gleichstellungsgesetz.ch/d103-1890.html)
Decisione: La domestica ha fornito al tribunale di conciliazione una descrizione credibile dei fatti. Quest’ultimo è pertanto giunto alla conclusione che le molestie sessuali affermate siano effettivamente avvenute come esposto. Poiché la coppia non ha prestato attenzione alla prevenzione né cercato alcun rimedio, esso ha reputato che fosse dovuto un indennizzo (art. 4 e 5 LPar). Le parti hanno concluso un concordato accettando la proposta di conciliazione (9750 franchi di indennità e versamento del salario dovuto fino al momento della disdetta con effetto immediato).
Conclusioni: Nonostante alcune agevolazioni previste dalla legge sulla parità dei sessi (LPar), come l’alleviamento dell’onere della prova, la rinuncia alle spese procedurali e la protezione della parte attrice, molte persone ancora esitano ad affrontare i problemi di discriminazione sul posto di lavoro o ad adire le vie legali. Ciò dipende da un canto dal rischio finanziario (spese ripetibili, spese legali ecc.) che occorre assumersi in caso di sconfitta, dall’altro dal rischio di perdere l’impiego.
Che tali rischi influiscano sulla probabilità di agire in giudizio è dimostrato anche dal fatto che il 63 per cento delle sentenze del Tribunale federale riguarda rapporti di lavoro di diritto pubblico, sebbene solo un lavoratore su cinque sia impiegato in questo settore. I rapporti di lavoro di diritto pubblico sussistono tra lavoratori e istituzioni pubbliche come lo Stato, i Comuni o Enti statali, che sono soggetti a disposizioni particolari di diritto pubblico. In questi casi, il rischio finanziario è inferiore in quanto non è necessario pagare ripetibili e il rischio di perdere il lavoro è inferiore rispetto ai rapporti d’impiego di diritto privato.
Un altro problema è che i giudici sono abituati a prendere le loro decisioni sulla base di prove e non della verosimiglianza, una modalità che sembra non avere ancora preso piede. In oltre la metà dei casi in cui si applica l’alleviamento dell’onere della prova ai sensi della LPar, la verosimiglianza non viene riconosciuta.
Di conseguenza, le prospettive di successo possono avere un effetto dissuasivo: da un’analisi della giurisprudenza cantonale del 2017 è emerso che nel 62,5 per cento dei casi sono state prese decisioni interamente o prevalentemente a sfavore dei lavoratori che avevano invocato una discriminazione ai sensi della LPar. Ma sono proprio i casi di discriminazione a richiedere alle persone che la subiscono molta forza per esporsi e ribellarsi. Purtroppo questo coraggio troppo spesso non viene premiato. Noi ci impegniamo per far cambiare le cose.