La multinazionale svizzera Bystronic taglia impieghi in Lombardia

L’azienda bernese licenzia 150 persone e chiude due stabilimenti, fiore all’occhiello dell’industria lombarda. Incontro a Milano con i lavoratori che hanno manifestato tutto il loro disappunto.  

Di Federico Franchini 18 ottobre 2024

 

Sono arrivati in Lombardia e si sono comprati un gioiellino con una storia industriale trentennale. Due anni dopo, per questioni di ristrutturazione interna, da Berna, hanno deciso di sbarazzarsene. Così, da un momento all’altro, senza preavviso: gettando nel vuoto 150 persone e lasciando nell’incertezza una clientela globale. È questa, in estrema sintesi, la vicenda che ha come protagonista la Bystronic, multinazionale svizzera che opera nella progettazione e nella produzione di macchine di automazione industriale e di taglio laser. Siamo così scesi a Milano per incontrare i lavoratori e le lavoratrici, riuniti a protestare contro l’agire «senza scrupoli» di un’impresa elvetica.

«Mancanza di sensibilità»

«È stato un fulmine a ciel sereno. A fine 2023, con un video diffuso durante la festa di Natale, i vertici del gruppo hanno elogiato il contributo dei lavoratori, definendoli la forza trainante dell’azienda. E ora eccoci qua, con l’incubo dei licenziamenti collettivi in arrivo proprio a Natale». Angelo Alpoli, rappresentante sindacale dei dipendenti Bystronic, è uno dei primi operai che incontriamo a Milano, davanti alla sede di Assolombarda. I lavoratori si sono dati appuntamento qui, fuori dagli uffici dove i sindacati incontreranno i rappresentanti dell’azienda. Angelo non nutre molta speranza per questo primo incontro: «Si è rotto il rapporto di fiducia. A ferirmi è la totale mancanza di sensibilità di Bystronic, per i quali siamo sempre stati disponibili. Molti di noi sono persone monoreddito, con mutui e carichi familiari».

«La cosa che mi fa più male è che sono arrivati a prendersi un’azienda che era un’eccellenza e l’hanno smantellata in qualche anno, sbarazzandosi di noi come si fa con i rifiuti» ci dice Riccardo, un altro operaio arrivato in città per far sentire il proprio malcontento. Il riferimento è al fatto che nel 2022 il gruppo basato a Niederönz (Canton Berna) ha preso il controllo della società italiana Antil SPA, nel cui capitale era già entrato qualche anno prima. Nata nel 1989, Antil era una realtà tecnologica ad alto contenuto innovativo specializzata nello sviluppo di soluzioni di automazione per la lavorazione delle lamiere. Due anni dopo questa operazione, il CEO dell’azienda elvetica, Domenico Iacovelli, in carica da qualche mese, ha annunciato per email la chiusura degli stabilimenti di Bystronic Automation Technology di San Giuliano Milanese e Fizzonasco di Pieve.

«Quello che vediamo è il risultato finale di scelte operate da manager senza scrupoli che in pochi anni hanno distrutto un marchio di prestigio che nel nostro paese era sinonimo di affidabilità e serietà» ci dice Giorgio Viganò, di FILCAMS CGIL in rappresentanza dei dipendenti di Bystronic Italia, per ora non toccati dai licenziamenti ma presenti alla manifestazione. Anche perché, come dice Viganò «nessuno dei lavoratori del gruppo è ormai più sicuro».

Il pacco di Natale

I lavoratori in sciopero arrivati a Milano si sentono vittime di una grande ingiustizia. Lo dicono gli striscioni. Lo urlano nei cori: “Vergogna, vergogna”; “Dignità, dignità”; “Vogliamo solo lavorare”; “Lotta dura senza paura”. Sventolano le bandiere della FIOM e fanno partire pacificamente qualche fumogeno, di fronte ad alcuni poliziotti sul posto per monitorare la situazione: «Non è come con gli ultras, come fai a non essere dalla loro parte» ci dice un celerino, con cui ci siamo fermati a chiacchierare. Già, come fai?

Facendo i calcoli, le lettere di licenziamento dovrebbero arrivare il 24 di dicembre, la vigilia di Natale. È il giorno in cui Giorgia dovrebbe partorire suo figlio, ci dice questa ragazza impiegata come una decina di sue colleghe nel settore service: «È sempre stato un buon posto di lavoro e non ce l’aspettavamo proprio. Per me che sono incinta questa situazione è particolarmente difficile». Lei e una decina di colleghe coordinano l’amministrazione e i servizi post vendita. Manuela lavora qui da 28 anni: «Questa società l’ho vista crescere, ha sempre superato tutte le fasi di crisi e ancora oggi abbiamo milioni di euro di merce da evadere. Anche per questo i clienti sparsi per il mondo continuano a chiamare perché sono preoccupati dalla nostra chiusura».

Il gruppo svizzero ha subito scritto ai clienti di non preoccuparsi, “che l’automazione continuerà ad essere un’attività strategica” e che “ci sarà offerta ai clienti anche in futuro”. L’azienda ha fatto sapere di voler privilegiare “la produzione di soluzioni di automazione standard per il taglio e la piegatura laser nel sito produttivo di Niederönz”. Una scelta che pare incomprensibile: «Si parla di prodotti standard, ma noi in Lombardia costruiamo macchine specializzate tagliate su misura per i clienti, fornendo servizi post vendita con i nostri colleghi che vanno in giro per il mondo a sistemare le macchine» ci spiega Fabrizio, impiegato da qualche anno. «È la seconda volta che un’impresa svizzera mi frega» ci dice facendo riferimento alla chiusura nel 2018 dell’ABB di San Martino in Strada, in provincia di Lodi.

42 milioni di utile netto

Bystronic è quotata alla Borsa di Zurigo dal 2021. Il maggior azionista è il gruppo che fa capo alle famiglie Auer, Schmidheiny e Spoerry, la cui fortuna cumulata è stimata tra i 500 e i 600 milioni di franchi. Schmidheiny? Solo ad evocarlo in Italia questo nome fa paura, come ci dicono in molti. Va precisato però che non si tratta dello stesso ramo della famiglia del tristemente noto Stephan Schmidheiny, quello della Eternit.

Il gruppo bernese ha un fatturato che si aggira verso il miliardo di franchi e nel 2023 ha realizzato un utile netto di 42 milioni di franchi. Quest’anno la situazione è più difficile: da gennaio a settembre il fatturato è sceso del 28,3% e l’acquisizione degli ordini è diminuita di un quarto. A fine settembre, l’azienda aveva così comunicato di voler sopprimere 500 posti di lavoro a livello globale sui 3.350, di cui 80 in Svizzera. In Lombardia ci si è subito attivati per capire se gli stabilimenti del Milanese fossero interessati dalla riorganizzazione.

«Abbiamo ottenuto risposte attendiste e poco circostanziate. Dieci giorni dopo, però, ecco arrivare l’annuncio della cessazione di attività per due stabilimenti» ci dice Giovanni Ranzini, segretario FIOM CGIL Milano. Per il sindacalista si è trattato di una «doccia ghiacciata». Tanto più nulla faceva presagire un epilogo del genere: «Ad oggi l’azienda non ha mai fatto ricorso ad alcun ammortizzatore sociale – ci dice Ranzini – tanto più che di recente si è preceduto a realizzare alcune assunzioni e interventi di ristrutturazione negli stabilimenti».

Dopo oltre un’ora di incontro, i sindacalisti scendono e spiegano che l’azienda ha confermato la volontà di cessare l’attività nei due siti del Milanese: «Abbiamo proposto delle alternative, come il ricorso agli ammortizzatori sociali, ma non hanno voluto sentire ragioni» ha spiegato al microfono il segretario FIOM CGIL. Angelo Alpoli ha ribadito a tutti che ora la cosa importante è quella «di restare uniti».

 
Corriere dell’italianità


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