Piemonte, l’amara chiusura di una fabbrica svizzera di cioccolato
A Intra, in provincia di Verbania, il gruppo elvetico Barry Callebaut vuole smantellare uno stabilimento che produce cioccolato da cento anni: a rischio molti posti di lavoro e il tessuto industriale di un’intera regione. Un tavolo di crisi si è tenuto presso il Ministero delle imprese e del made in Italy.
Di Federico Franchini 10 ottobre 2024
In provincia di Verbania, a trenta chilometri dal confine svizzero, da cento anni è in funzione un’importante fabbrica di cioccolato. Il gruppo elvetico che la controlla – il colosso del cacao Barry Callebaut – ha però annunciato la prossima chiusura dello stabilimento nell’ambito di un processo di riorganizzazione interna. La fabbrica è però perfettamente funzionante: dietro a questa scelta ci sarebbero delle ragioni di natura finanziaria volte a favorire gli azionisti, guidati dalla ricchissima famiglia Jacobs.
A Intra, un odore intenso di cioccolato ci accoglie ai cancelli della fabbrica, mentre un camion carico di grassi vegetali accosta a un silo in acciaio. Siamo a pochi passi dal centro di Intra, a qualche centinaio di metri dal lago Verbano. Questo stabilimento di 15mila metri quadrati ha compiuto cento anni proprio nel 2024, ma la sua vita potrebbe essere ancora breve: il 5 settembre il gruppo svizzero Barry Callebaut ha infatti comunicato di volerlo chiudere a inizio 2025. «Una decisione che è giunta come un fulmine a ciel sereno», ci ha detto al telefono il sindaco di Verbania, Giandomenico Albertella. Per il primo cittadino, la scelta presa da Zurigo «non è accettabile nel merito e nel metodo» e avrà un impatto non da poco: «La città non è in grado di assorbire questa chiusura che impatterà anche su tutta la filiera dolciaria piemontese».
La fabbrica di cioccolato di Intra impiega attualmente 94 persone a tempo indeterminato e 27 interinali; l’indotto è stimato con un’altra trentina di posti di lavoro. Barry Callebaut l’ha acquistata nel 1999 da Nestlé e ne ha fatto il suo principale sito produttivo in Italia. La multinazionale elvetica è il principale produttore di cioccolato industriale e trasformatore di fave di cacao del mondo. Il suo nome non è molto noto al grande pubblico perché la sua produzione è principalmente destinata all’industria alimentare dolciaria e alla ristorazione.
Senza preavviso
«Hai presente la glassa che ricopre i gelati o i biscotti? Noi produciamo questo tipo di cose». Ivan Axerio lavora qui da quindici anni ed è un delegato sindacale. L’operaio ci accoglie fuori dallo stabilimento in compagnia di alcune colleghe. Tutti sono rimasti basiti quando la società ha annunciato l’imminente chiusura: «A maggio abbiamo avuto un incontro dove ci è stato detto che Intra era centrale per il gruppo. Quattro mesi dopo le stesse persone, senza preavviso, ci hanno convocato per dirci che chiuderemo», spiega Ivan. Tra operai e operaie prevale l’amarezza, ma non certo la rassegnazione, come ci dice Rossella Criseo, anche lei delegata sindacale: «Lavoro qui da oltre 32 anni e non ho certo intenzione di stare con le mani in mano. Faremo di tutto per mantenere in vita questa fabbrica, anche cercando soluzioni alternative a Barry Callebaut».
L’annunciata chiusura ha suscitato preoccupazione in questa cittadina di circa 30mila abitanti: «Questa decisione avrà un grosso impatto sociale sul territorio perché la fabbrica di cioccolato è uno dei pochi stabilimenti che riesce ancora a dare occupazione e reddito in questa zona periferica» ci spiega Emilio Capacchione, segretario generale FAI CISL Piemonte. Lo incontriamo a fianco di un muro della fabbrica su cui è appeso uno striscione che indica come i lavoratori siano “non solo dipendenti”, ma “anche una famiglia”. In questo momento è essenziale essere più uniti che mai: «Abbiamo subito decretato lo stato di agitazione e il giorno dopo l’annuncio abbiamo sfilato per la città dove abbiamo ricevuto molta solidarietà» racconta Rossella Criseo.
Nel frattempo si sono mobilitate anche le autorità cittadine, provinciali e regionali che sono riuscite a promuovere un tavolo di crisi che si è tenuto lo scorso 3 ottobre, presso il Ministero delle imprese e del made in Italy. Da Intra è scesa a Roma una delegazione di una trentina di operaie e operai. Tra questi Ivan e Rossella: «Abbiamo capito che la dirigenza non ha argomenti credibili. La nostra fabbrica non si è mai fermata, lavorando per tre turni, sette giorni su sette, con volumi di produzione sempre superiori agli obiettivi». Il tavolo di crisi, coordinato dal ministro Adolfo Urso, non ha portato a decisioni, ma ha permesso di prendere un po’ di tempo: «Abbiamo chiesto di sospendere i licenziamenti e di valutare tutti gli scenari, compresa la vendita del sito ad altri attori del mercato. Adesso aspettiamo» ci dice Emilio Capacchione, cautamente ottimista.
Decisione presa a Zurigo
A questo punto restano ancora da capire le reali motivazioni alla base della decisione presa, a Zurigo, dai vertici di Barry Callebaut. L’azienda parla di «limitata redditività futura e complessità logistica del sito». Spiegazioni che non sembrano convincenti, anche alla luce dei risultati positivi di uno stabilimento in cui – va detto – il gruppo non ha investito molto negli ultimi anni.
Quando si ha a che fare con una multinazionale occorre però allargare lo sguardo. Nel giugno 2022, Barry Callebaut è stata toccata da un grosso problema di contaminazione presso lo stabilimento belga di Wieze, il più grande di tutto il gruppo. Da quel momento le sue azioni hanno cominciato a scendere, perdendo ad oggi circa un terzo del loro valore. Per frenare questa tendenza, il gruppo ha nominato nell’aprile 2023 un nuovo CEO, il tedesco Peter Feld.
Quest’ultimo è un uomo vicino alla famiglia Jacobs, dodicesima fortuna svizzera (patrimonio stimato: 12 miliardi di franchi) che tramite la propria holding zurighese detiene il 30% della multinazionale del cacao. Feld è stato chiamato con l’obiettivo esplicito di “creare valore per tutti gli azionisti”. Pochi mesi dopo la sua nomina, ha presentato un piano di riorganizzazione che prevede investimenti per 500 milioni di franchi e, contemporaneamente, una riduzione di costi annuali di 250 milioni. Lo scorso febbraio, la direzione ha dato qualche dettaglio in più annunciando la chiusura di due siti produttivi e il licenziamento di 2.500 dipendenti, di cui 900 in Europa.
È in questo contesto che va quindi inserita la scelta di chiudere la fabbrica di Intra. Sul Verbano, la sensazione è quella che il personale locale e la collettività debbano pagare per colpe (e guadagni) altrui: «L’azienda non è stata trasparente e temo che la scelta di chiudere la fabbrica piemontese sia dettata da logiche finanziarie che nulla hanno a che vedere con l’economia reale», chiosa amaramente Emilio Capacchione.
A Zurigo, invece, c’è chi assapora il lato dolce del cioccolato. La famiglia Jacobs ha ricevuto a inizio 2024 circa 55 milioni di franchi di dividendi mentre il CEO, Peter Feld, ha guadagnato nel solo anno fiscale 2022/23, 6,8 milioni di franchi: mezzo milione in più di quanto è costata tutta la manodopera impiegata a Intra nel 2023.