Luca Bianchi: «L’Italia è rimasta bloccata nella contrapposizione Nord-Sud»
Il direttore del centro di ricerca Svimez Luca Bianchi auspica una nuova generazione politica che sovverta la falsa narrazione di «due Paesi» con problemi e soluzioni diversi.
Di Fabio Lo Verso 8 novembre 2024
Direttore Bianchi, quali sono i punti più contestabili della legge sull’autonomia differenziata presentata dal ministro degli Affari regionali Roberto Calderoli, della Lega?
La principale obiezione è il federalismo anomalo della legge, un federalismo asimmetrico che riguarda soltanto alcune Regioni forti del Paese. La riforma Calderoli crea di fatto nuove Regioni a statuto speciale con conseguenti privilegi che vanno a detrimento delle altre Regioni. Sfocia in un federalismo non solidale che accentua significativamente il divario regionale fra Nord e Sud. È un modello che sfavorisce il Mezzogiorno, ma non fa nemmeno il bene del Nord.
Qual è la differenza con la precedente riforma del 2001, varata da una maggioranza di centro sinistra, che ha introdotto l’autonomia regionale?
La riforma del 2001 prevedeva come via principale il federalismo simmetrico, con dei meccanismi di contrappeso, i cosiddetti Lep, ossia i Livelli essenziali delle prestazioni, e un fondo di perequazione che compensava il differenziale. Una volta completato il federalismo fiscale, il cuore di un sistema puramente federale, introduceva la possibilità di differenziare le forme e condizioni particolari di autonomia per ogni Regione. Invece, la legge Calderoli permette di avviare subito la differenziazione senza aver dapprima realizzato il federalismo.
Cosa vuol dire in sostanza?
Vuol dire che si fa l’autonomia senza i Livelli essenziali delle prestazioni, cioè senza una garanzia di uguali diritti e servizi in tutto il territorio del Paese. E senza un fondo di perequazione, previsto dalla Costituzione, che da un lato compenserebbe i differenziali di reddito fra le Regioni, e dall’altro fornirebbe risorse adeguate per colmare il divario infrastrutturale. In assenza di un sistema puramente federale, condizione di un maggior ruolo delle autonomie regionali, si crea un pasticcio secessionista che cristallizza la contrapposizione Nord-Sud, realizzando un vero e proprio processo separatista, in cui a livello scolastico si avrebbero ad esempio programmi diversi a livello regionale, sistemi di reclutamento territoriale e funzionamenti differenziati.
Nei decenni trascorsi dalla riforma costituzionale del 2001 ad oggi, non si è compiuto il federalismo che lei descrive. Perché?
Era corretto il percorso costituzionale intrapreso nel 2001 ma prevedeva alcuni passaggi, il primo fra tutti era la definizione e il finanziamento dei Livelli essenziali delle prestazioni. È lì che si creato il vulnus. Non sono stati fissati i Lep e non è stata declinata la distinzione delle competenze fra Stato e regioni.
Come è stato possibile che dal 2001 non siano mai stati fissati i tanto attesi Livelli essenziali delle prestazioni?
Perché questo avrebbe comportato un trasferimento di risorse verso le Regioni più deboli, l’esatto opposto di quello che volevano i federalisti del Nord. In tutto questo tempo non si è vissuto il tema del federalismo come una modalità di maggiore efficienza per migliorare i servizi e le infrastrutture del Paese, ma come una modalità per ridurre il contributo di solidarietà dal Nord verso il Sud.
In questi vent’anni però, i federalisti del Nord non sono sempre stati al governo. C’è stato anche il centrosinistra. Perché almeno da loro non è stata fissata la definizione dei Lep?
Perché non è un problema di contrapposizione destra-sinistra. Il problema è culturale, molto più che politico, è trasversale. L’Italia è rimasta bloccata nella contrapposizione Nord-Sud, nella falsa narrazione di due Paesi con problemi e soluzioni diversi. La realtà è che i governi di centrosinistra sono stati anch’essi parte di questa falsa narrazione, sostenuti da una quota importante di dirigenti della sinistra del Nord. Ci vorrebbe oggi una nuova generazione politica che sovverta questa narrazione.
Giorgia Meloni ha avuto gioco facile nell’affermare che l’autonomia differenziata in Costituzione l’ha voluta il centrosinistra.
Non ha avuto per nulla gioco facile perché il suo partito è sempre stato fortemente centralista, non federalista. Oggi vive una contraddizione interna, né la premier né Fratelli d’Italia né soprattutto i suoi elettori sono sinceramente favorevoli alla riforma Calderoli, una forzatura costituzionale che svantaggia il Mezzogiorno, un bacino elettorale importantissimo per Fratelli d’Italia. Vincolata da un accordo di governo con la Lega, Meloni spacca l’Italia ma rischia di spaccare anche la maggioranza. Nemmeno gli alleati di Forza Italia vedono di buon occhio l’autonomia leghista.
Si farà un referendum contro l’autonomia differenziata: qual è il suo pronostico?
Sono fiducioso perché mi pare che la battaglia dell’autonomia sia persa al Nord, dove c’è una profonda consapevolezza che la riforma Calderoli non faccia il bene del Paese e tocchi ampi interessi, quelli di Confindustria per esempio che nella prima fase era leggermente favorevole ma ora è sempre più scettica. Si comincia a superare il dibattito ideologico per andare nel merito della questione, comprendendo sempre più che questa riforma è controproducente per l’insieme del Paese, dal Sud al Nord.