La Francia non tradisce la sua storia, ma è in stallo politico

di Massimiliano Picciani 29 luglio 2024

 

L’onda «bruna», dal colore assegnato dallo storico giornale Le Monde nelle sue cartografie del voto al Rassemblement National (RN) di Marine le Pen, tanto attesa, non è arrivata. Nonostante un francese su tre abbia votato alle recenti elezioni europee per questa formazione di estrema destra, conosciuta per le sue posizioni xenofobe e anti-immigrazione, fondata da Jean- Marie Le Pen nel 1972 sulle ceneri degli eredi di Vichy e dei sostenitori dell’Algeria coloniale francese, il colpo di mano per portare a Matignon (sede del primo ministro) un esponente proveniente dai ranghi dell’estrema destra, sfruttando l’occasione data dalla decisione-lampo del presidente Macron di indire nuove elezioni legislative, è fallita.

Per ironia della storia, il candidato primo ministro, già capolista alle elezioni europee del Rassemblement National, era Jordan Bardella, 32 anni, nato nella banlieue parigina, con tre nonni emigrati italiani di origine piemontese, e il quarto... franco-algerino. Un esempio di come l’integrazione delle seconde e terze generazioni di emigrati all’estero possa portare ad esiti decisamente paradossali, quando si conosce la storia difficile d’integrazione di queste comunità.

La battuta d’arresto dell’estrema destra, se da un lato riafferma l’identità storica della Francia - Paese patria, da sempre, dell’illuminismo e dei diritti umani - dall’altro apre una situazione inedita di stallo politico, che sembra riportare la Francia agli anni del confuso parlamentarismo della 4ème République degli anni Cinquanta.

In effetti, il Rassemblement National, vincitore pronosticato da tutti i sondaggisti, poi finito solo terzo per numero di seggi, è stato fermato nella sua avanzata dalla decisione di tutti gli altri partiti dell’arco repubblicano – la maggioranza presidenziale liberale e centrista di Macron e l’alleanza delle forza di sinistra (socialisti, ecologisti, comunisti e “insoumis” di Mélenchon, riuniti nel Nuovo Fronte Popolare) - di mettere in piedi accordi di desistenza al secondo turno delle legislative, ritirando in ciascun collegio il candidato in posizione meno favorevole.

In questo modo, domenica 7 luglio, la stragrande maggioranza dei francesi ha avuto una scelta semplice nella propria circoscrizione elettorale: votare un candidato RN oppure un candidato “repubblicano”, di destra moderata, di centro o sinistra. E la scelta è stata abbastanza netta. Oltre alla desistenza, ha ovviamente influito la presenza, nelle file del Rassemblement National, di candidati deboli, spesso sconosciuti e molto discutibili, con diversi casi di simpatie per i movimenti più estremisti della galassia di estrema destra, nonché l’avversione di gran parte dei francesi per un partito pronto a mettere all’indice, con restrizioni nelle possibilità d’impiego e agli aiuti sociali, i loro stessi colleghi e vicini di casa provenienti dall’altra sponda del Mediterraneo, a volte nati e cresciuti in Francia: il buon senso della quotidianità ha avuto, per una volta, la meglio sulle peggiori pulsioni di intolleranza.

Il meccanismo della desistenza tra forze politiche eterogenee, ma che condividono i valori della République – laicità, universalismo, libertà solidarietà - ha evitato la vittoria del RN, ma ha al contempo portato a un parlamento frammentato in tre blocchi principali quasi equivalenti, più uno intermedio.

La maggioranza relativa - di corta misura, e totalmente inattesa – è andata all’alleanza delle sinistre, mentre l’ex maggioranza presidenziale uscente ha potuto mantenere un gruppo parlamentare che ne permette l’agibilità politica.

Il Rassemblement National è terzo per numero di seggi, mentre la destra gollista resta in campo con un numero congruo di eletti. Delle componenti, frontalmente opposte in particolare sui temi economici e sociali, e senza la cultura del compromesso parlamentare comune ad altri grandi Paesi europei.

La scelta di andare ad elezioni anticipate era stata motivata dal Presidente Macron, la sera stessa della sconfitta del suo partito nelle elezioni europee, con la necessità di chiarificazione tra le forze politiche, a cominciare dall’attitudine da tenere nei confronti del Rassemblement National: se la scommessa di bloccare la crescita del partito di Marine Le Pen con un rifiuto massiccio da parte dell’elettorato francese sembra (per ora) vinta, la possibilità di avere una indicazione politica chiara sull’indirizzo generale per il governo del Paese sembra molto lontana.

In effetti, un’alleanza che riproduca semplicemente l’arco repubblicano concretizzatosi nelle scelte di desistenza sembra impossibile: sia perché le posizioni radicali su molti temi – dall’economia al Medioriente - di un pezzo importante del Nuovo Fronte Popolare, ovvero La France Insoumise dell’istrionico tribuno trotskista Mélenchon, erano e restano irricevibili per il centro e la destra moderata; sia perché le politiche sociali (in particolare la recente riforma delle pensioni) portate avanti dalla ex maggioranza presidenziale di Macron fanno l’oggetto di una netta opposizione da parte di tutta la sinistra, e persino di una parte della destra moderata, che non vogliono compromettersi con il potere uscente, considerato al capolinea e responsabile di una situazione politica ed economica decisamente delicata.

Mentre le forze di sinistra rivendicano quindi la guida del governo, motivandola con il fatto di essere il primo gruppo tra gli eletti, il Presidente della Repubblica Macron e diversi membri della ex maggioranza centrista sembrano spingere per un’alleanza larga, che vada dalla destra gollista ai socialisti, escludendo però la sinistra radicale della France Insoumise.

Una via d’uscita, caldeggiata da alcuni esponenti di centro-destra, vede invece un’alleanza tra centristi e destra repubblicana: questa seconda ipotesi, tuttavia, oltre e non avere i numeri in Assemblea, sembra particolarmente paradossale quando si pensa che nella legislatura appena conclusa un accordo simile era fallito nonostante l’intesa – sui provvedimenti e sull’orientamento politico - fosse plausibile, e confortata dall’esito delle elezioni 2022, ben diverso di quello odierno.

Oltre all’impianto politico, sarà un rebus anche trovare il nome del primo ministro, che ogni forza politica reclama per sé. A sinistra, i socialisti sembrano intenzionati a restare fedeli all’alleanza politica con le altre forze, per provare a mettere in campo un governo di minoranza con un premier socialista (si fanno i nomi del segretario PS, Olivier Faure, e dell’ex presidente della Repubblica Francois Hollande); al centro si evoca la possibilità di un “tecnico” tutto da trovare – e sarebbe la prima volta in assoluto per la Francia; la destra repubblicana oscilla tra voglia di stare al tavolo e tentazioni di isolamento.

Gli scenari aperti, dunque, sono molti; l’unica cosa certa per ora è che il primo ministro Attal resterà in carica per il disbrigo degli affari correnti, probabilmente fino a dopo i Giochi Olimpici previsti a Parigi e in altre città francesi da venerdì 26 luglio 2024 fino a domenica 11 agosto 2024.

 
Corriere dell’italianità


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