Quel filo che lega Oliviero Toscani alla Svizzera
Il celebre fotografo italiano si è spento a 82 anni, dopo una lunga malattia. Pochi giorni prima si era conclusa una retrospettiva dell’artista a Zurigo, dove ha studiato dal 1961 al 1965 e per la prima volta al mondo è stata esposta la sua intera opera.
di Ludovica Pozzi 13 gennaio 2025 Zurigo
Si sono da poco spente le luci della sua straordinaria retrospettiva a Zurigo, che ha incantato il pubblico elvetico. Ora che è arrivata la notizia della sua scomparsa, ora che si è spenta anche la luce nei suoi occhi, è piombata la tristezza nel cuore di chi in Svizzera lo ammirava e seguiva. È morto Oliviero Toscani, ha annunciato oggi la famiglia.
Il celebre fotografo aveva 82 anni, soffriva di amiloidosi, malattia rara e incurabile che in Italia colpisce circa ottocento persone l’anno. Si considerava un «terrorista della pubblicità». Con i suoi scatti irriverenti e le sue campagne scandalose per Benetton ha fatto discutere il mondo.
Al Museum für Gestaltung di Zurigo, in italiano il Museo del Design, fino allo scorso 5 gennaio, è stata esposta per la prima volta al mondo l’intera opera di Toscani. L’artista era nato a Milano e ha studiato fotografia e grafica alla Kunstgewerbeschule di Zurigo dal 1961 al 1965, oggi Università delle Arti. In quegli anni è iniziata la sua formazione, ed anche la sua ascesa.
Dalla capitale economica della Svizzera ha avviato la scalata verso le vette delle fotografia. Nello scorso settembre Toscani si era recato in sedia a rotelle alla retrospettiva. Voleva esserci a tutti i costi. È stato un momento indimenticabile. Ad accoglierlo le note di Bob Dylan «Forever Young», per sempre giovane.
Per lui è stato un «vero prestigio»: così ha definito la mostra che gli ha dedicato il Museum für Gestaltung in una toccante e bella intervista pubblicata dalla testata online tvsvizzera.it. Toscani ci passava due volte al giorno quando studiava a Zurigo: «Lì vidi le più grandi mostre dei fotografi più importanti». Nella città elvetica il fotografo, oltre al mestiere, non ha imparato soltanto il tedesco, ma anche che «si possono fare le cose con qualità, impegno e responsabilità».
Considerava la Svizzera una seconda patria? «Io non ho patria..», rispondeva a tvsvizzera.it, «però la Svizzera è stata sicuramente molto importante per me soprattutto in quel momento così cruciale della mia vita, a vent’anni, età in cui cominci a doverti amministrare da solo e devi fare delle scelte. Trovo che la Svizzera sia stata generosa con me permettendomi di frequentare questa scuola cantonale che era praticamente gratuita. Non come la scuola del design di Milano di oggi dove ci possono andare solo i figli di papà».
Oliviero Toscani era entusiasta del taglio dato alla retrospettiva zurighese, «incentrata sul rapporto sociopolitico della foto». Lo stesso taglio che il fotografo diede a uno dei suoi primi reportage, quello sull’accoglienza svizzera dei lavoratori italiani immigrati negli anni ’60-’70. All’epoca, rammenta Toscani, «era discriminatorio essere italiano». Le sue foto sollevarono un polverone, attirando l’attenzione della stampa italiana sulle condizioni di vita degli italiani in Svizzera.
A Zurigo la retrospettiva ha avuto un grande successo tanto da essere stata prolungata di quattro mesi, fino al 5 gennaio di quest’anno. «Sono stata molto colpita dalla qualità dell’esposizione, ero andata con un pregiudizio che è però scomparso al contatto con le prime foto», dichiara Lucia Del Moro, insegnante della Società Dante Alighieri di Ginevra, che ci ha condotto i suoi studenti di lingua e cultura italiana. «Ho scoperto alcuni aspetti del suo lavoro che non conoscevo e che mi hanno fatto capire quanto Oliviero Toscani fosse dotato di una fibra artistica, non era soltanto un fotografo con un forte impegno civile e sociale».
Alla mostra ha assistito anche il marito, Francesco Arese Visconti, fotografo da trent’anni, e autore della fortunata mostra, nel 2024 a Genova, dal titolo La diaspora invisibile. La migrazione italiana del XXI secolo sull'arco lemanico: un ritratto fotografico: «Quando ho cominciato a fare fotografia, mi dedicavo a paesaggi e ambientazioni in cui l’essere umano non era coinvolto, e allora non ero particolarmente attratto dal lavoro di Oliviero Toscani», racconta. « Un giorno lessi un suo libro e fui colpito da una frase, ‘La fotografia ha senso se si occupa della condizione umana’, e ho avuto una sorta di illuminazione. Cominciai allora a interessarmi sempre di più alla condizione umana». Per Arese Visconti, «Oliviero Toscani ha lasciato un segno nella storia della fotografia».
«Anche se non tutte le sue campagne pubblicitarie sono state apprezzate da tutti, è stato piacevole rivederle a Zurigo, in una giornata nevosa», afferma una visitatrice della mostra, Anne-Lise Jaquier. Sono indimenticali alcune immagini diventate iconiche di Toscani, suscitando apprezzamenti ma anche tante critiche nel mondo: il famoso manifesto Jesus Jeans «Chi mi ama mi segua», ma anche il «Bacio tra prete e suora» del 1992, i «Tre Cuori White/Black/Yellow» del 1996, e «No-Anorexia» del 2007.
Con la scomparsa di Oliviero Toscani, si può dire ora che la mostra di Zurigo sia stata una «retrospettiva, nell’autentico senso del termine», conclude Francesco Arese Visconti.