Cecilia Sala, l’inchiesta svizzera
Dopo le settimane di altissima tensione fra l’Italia, l’Iran e gli Stati Uniti, concluse con il rilascio della giornalista italiana, la storia dell’ingegnere iraniano all’origine della vicenda è quella che resta. Era davvero un affiliato dei Pasdaran, infiltrato in Svizzera per aggirare le sanzioni Usa tramite una startup con sede nel campus dell’Epfl di Losanna (foto)? L’enigma inizia a sciogliersi bussando ai laboratori del Politecnico federale.
Di Fabio Lo Verso e Thomas Mackinson* Il Fatto Quotidiano 3 febbraio 2025
C’era davvero lui dietro all’attacco con droni killer contro una base al confine fra la Giordania e la Siria, uccidendo tre militardi statunitensi nel gennaio 2024? Il 38enne iraniano Mohammad Abedini Najafabadi, arrestato il 16 dicembre all’aeroporto di Malpensa, amministrava dal 2019 una startup «incubata» dall’Epfl di Losanna. Portava con sé un trolley pieno di misteri, il cui contenuto è tuttora al centro di una delicata trattativa sull’asse Roma-Washington-Teheran.
Si intrecciano così i destini dell’iraniano e di Cecilia Sala, la giornalista italiana tenuta per ventuno giorni in isolamento in un carcere di Teheran, una ritorsione nei confronti del fermo di Abedini. Secondo l’atto di accusa degli Usa in nostro possesso, il «sistema di pilotaggio» dei droni killer era fornito dalla startup Illumove, che l’ingegnere aveva fondato all’Epfl.
Da qui, sostiene l’Fbi, triangolava microtecnologia sensibile al servizio del regime di Teheran. I pacchi con chip e sensori di movimento erano consegnati all’Epfl Innovation Park, sede della startup Illumove. Per l’Fbi era solo «di comodo», una «cassetta postale». In seguito Abedini trasmetteva in Iran i sensori delle dimensioni di una moneta.