Quale futuro per l’industria in Svizzera?
Per lungo tempo non ha svolto alcun ruolo, ma ora la politica industriale è sulla bocca di tutti. Qual è la posizione di Syna? A colloquio con Nora Picchi, responsabile della politica sindacale, e Johann Tscherrig, presidente della direzione Syna.
Di Michael Steinke Ufficio comunicazione Syna 20 gennaio 2025
Negli ultimi mesi si è scritto molto nei giornali riguardo alla crisi che investe l’industria elvetica, che si tratti di Vetropack, Flyer o, piu recentemente, dell’industria siderurgica. Cosa sta accadendo al settore industriale elvetico?
Nora Picchi: È importante precisare che non tutto il settore è in crisi. L’industria farmaceutica e le aziende che producono beni altamente specializzati sono in ottima salute, mentre ci sono difficoltà nell’industria manifatturiera tradizionale, costretta a lottare in particolare con i costi di produzione più elevati in Svizzera rispetto ad altri Paesi. Oltre all’elevato costo del lavoro, anche i prezzi dell’energia giocano un ruolo importante, come nel caso della siderurgia.
Johann Tscherrig: La produzione di acciaio è estremamente energivora, motivo per cui molti Paesi sovvenzionano la propria industria scontando fortemente i prezzi dell’elettricità. Finora la Svizzera si è astenuta da tali misure, per cui l’acciaio prodotto in Svizzera risulta più costoso di quello importato. Ciò ha causato un calo della domanda, costringendo imprese come Stahl Gerlafingen e Swiss Steel ad annunciare licenziamenti. In seguito alle forti pressioni dei sindacati e del personale, il Consiglio nazionale e il Consiglio degli Stati hanno approvato agevolazioni per l’energia elettrica utilizzata dai gruppi siderurgici. Tali sovvenzioni si applicheranno nei prossimi anni e sono vincolate a condizioni precise, come la rinuncia alla distribuzione di dividendi e ad investimenti nei siti di produzione.
Nora Picchi: Si tratta di un primo passo che offre alle imprese un certo margine di manovra e sicurezza nella pianificazione. Tuttavia, non è ancora certo se accetteranno le condizioni, e se l’industria siderurgica rimarrà in Svizzera a lungo termine.
In primavera, il consigliere federale Guy Parmelin ha dichiarato che la Svizzera non attua nessuna politica industriale per un settore specifico. Come si spiega questo cambiamento?
Johann Tscherrig: Trovo irritante questa affermazione di Parmelin. Da anni promuoviamo il settore agricolo in modo mirato per tutelarlo dalla concorrenza estera. Il fatto che la Svizzera ora sostenga un settore specifico non è quindi una novità.
Nora Picchi: Nel caso dell’acciaio, però, la pressione sulla politica è stata particolarmente vigorosa. Da un canto, la perdita di posti di lavoro nei cantoni interessati sarebbe stata difficile da spiegare ai politici regionali; inoltre la componente ecologica svolge un ruolo importante: in Svizzera si produce molto acciaio riciclato da rifiuti edili. È più sostenibile dell’acciaio importato e riduce la nostra dipendenza dalle forniture internazionali.
Johann Tscherrig: La politica deve prendere una decisione di principio: vogliamo mantenere un’industria manifatturiera in Svizzera o no? Se sì, dobbiamo agire di conseguenza. Nel caso dell’acciaio, potrebbe voler dire impiegare unicamente acciaio prodotto in Svizzera per i progetti di costruzione pubblici. Le agevolazioni per l’elettricità da sole non bastano.
Nora Picchi: Naturalmente, è più facile a dirsi che a farsi. Misure di questo tipo potrebbero innescare conflitti con i partner commerciali europei. Malgrado ciò, dobbiamo pensare in questa direzione. Senza industria produttiva dipenderemmo completamente dalle importazioni – un rischio enorme. La crisi pandemica e i problemi con le catene di approvvigionamento internazionali hanno dimostrato che in situazioni di crisi ogni Paese guarda prima di tutto a sé stesso.
Cosa accadrebbe se la Svizzera non proteggesse la propria industria e si affidasse interamente al mercato internazionale, come chiede Economiesuisse?
Johann Tscherrig: Nel 2035, in Svizzera non rimarrebbe quasi più nessuna industria manifatturiera tradizionale. Potrebbero sopravvivere settori altamente specializzati come la microtecnica o i produttori di componenti particolari, ma l’industria tradizionale scomparirebbe. Anche nei settori orientati al futuro, come la produzione di pannelli solari, osserviamo che la concorrenza internazionale impara rapidamente e produce a costi più bassi.
Nora Picchi: Sarebbe un duro colpo per le lavoratrici e i lavoratori direttamente interessati. Dobbiamo fare in modo che le persone le cui industrie stanno scomparendo abbiano buone opportunità di riqualificazione. Ogni persona ha il diritto di essere inserita professionalmente e di rimanere parte della società.
Johann Tscherrig: Ecco perché dovremmo ripensare l’AD, l’assicurazione contro la disoccupazione, per orientarla verso la formazione continua. Dovrebbe cioè essere concepita in modo tale da offrire alle persone la possibilità di perfezionarsi o riqualificarsi in modo mirato durante il periodo in cui sono indennizzate dall’AD.
Significa che una persona formata in un settore con poche prospettive potrebbe seguire una riqualificazione professionale per circa un anno continuando a percepire l’indennita di disoccupazione?
Nora Picchi: Esatto. Prendiamo ad esempio un metalmeccanico. Molte di queste persone hanno competenze molto specifiche che spesso non sono richieste in altri settori. Se l’industria siderurgica dovesse scomparire, sarebbe illusorio credere che troveranno rapidamente un nuovo lavoro che corrisponda al loro profilo. Tuttavia, con una riqualificazione o una formazione continua più lunga potrebbero trovare un lavoro adatto alle loro nuove capacità – un lavoro che li appaga e di cui beneficia anche la società.
Johann Tscherrig: Un lavoratore dell’industria potrebbe essere adatto a un’occupazione commerciale, ad esempio, mentre un altro potrebbe vedere il proprio futuro nel settore della ristorazione. La riqualificazione dovrebbe portare le persone là dove il mercato del lavoro ha bisogno di loro e dove possono mettere a frutto le loro competenze.