A Mattmark per mantenere vivo il ricordo
Il 30 agosto 1965 una valanga seppellisce il cantiere della diga di Mattmark. Con 88 morti, di cui 56 italiani, è la più grave sciagura della Svizzera moderna. Alla 59a commemorazione della tragedia si è come ogni anno sfidato l’oblio.
di Ludovica Pozzi 2 settembre 2024
Il vento gonfia le bandiere, scuote i gonfaloni, attorciglia a tratti il nastro tricolore che volteggia sulla corona d’alloro deposta di fronte al cippo commemorativo. Soffia con cautela sotto un sole raggiante, splendido, che fatica a scaldare il cielo terso di Mattmark, il luogo della più grave sciagura della Svizzera moderna. Lì, nell’Alto Vallese, a circa 2200 metri di altezza, il 30 agosto 1965 si è staccata una valanga di ghiaccio che travolse 88 operai. Di questi, 56 erano italiani. Lavoravano giorno e notte per costruire una diga; oggi è la più grande in terra d’Europa.
Nel giorno della 59a commemorazione, lo storico Toni Ricciardi, deputato del Pd e presidente dell’Intergruppo parlamentare Italia-Svizzera, ricorda le vittime e ringrazia tutti coloro i quali, per più di mezzo secolo, hanno mantenuto vivo il ricordo: ricercatori universitari, giornalisti, famiglie delle vittime e naturalmente loro, i sopravvissuti, fra cui Maria e Ilario, presenti alla celebrazione. Maria era infermiera, Ilario operaio: «Al momento della sciagura si trovavano ognuno in una sponda opposta del lago di Mattmark».
I sopravvissuti, da sempre in prima linea per evitare che la tragedia venisse dimenticata, hanno raccontato l’orrore nel libro di Ricciardi, Morire a Mattmark. L’ultima tragedia dell’emigrazione italiana. Nel volume pubblicato da Donzelli nel 2015, quando l’autore non era ancora un deputato della Repubblica italiana, c’è tutto; e c’è questa tremenda testimonianza: «Niente rumore. Solo, un vento terribile e i miei compagni volavano come farfalle. Poi ci fu un gran boato, e la fine. Autocarri e bulldozer scaraventati lontano».
A Mattmark, ogni anno si sfida l’oblio. Fra i combattenti (mai reduci), c’è Sandro Cattacin, professore all’Università di Ginevra, dove lo stesso Ricciardi è storico delle migrazioni. Insieme, e con l’acuta collaborazione del politologo Rémi Baudouï, hanno pubblicato Mattmark, 30 août 1965. La catastrophe, presso Seismo Verlag. Lo studio è frutto di un’iniziativa di Cattacin: «Oltre quattordici anni fa ebbe il coraggio di coordinare un progetto che aggiunse il pezzo scientifico alla memoria», rammenta Ricciardi.
È compatta la rappresentanza ginevrina alla 59a commemorazione della sciagura. Oltre Ricciardi e Cattacin, c’è l’assiduo Dario Natale, nelle vesti di vicepresidente del Comites di Ginevra: «La storia di Mattmark per me è sintomatica di un tema che ahimè non sarà mai fuori dagli schemi dell’attualità, la problematica degli incidenti e delle morti sul lavoro».
«Il Comites di Ginevra e quello della circoscrizione Vaud-Vallese sono sempre stati presenti alla cerimonia di Mattmark», evidenzia Natale. Fra Ginevra, Vaud e Vallese, vivono circa 130mila italiani: «Questa realtà ci porta spesso a concentrare le forze». Per la prima volta partecipava Nicoletta Piccirillo, da gennaio Console generale d’Italia a Ginevra. Per onor di cronaca fra i rappresentanti «ginevrini», c’è anche da segnalare Carmelo Vaccaro, consigliere del Comites di Ginevra e del CGIE.
Quel tragico 30 agosto 1965, stranieri e svizzeri sono morti l’uno a fianco all’altro. Era la prima volta, e questo «suscitò molto scalpore in tutta Europa», scrive Ricciardi. Ottantotto vittime sacrificate sull’altare della crescita economica. Fra gli italiani, con diciassette operai deceduti fu la provincia di Belluno a essere la più colpita, e il comune di San Giovanni in Fiore, in provincia di Cosenza, che perse sette uomini. Alla celebrazione era presente l’Associazione Bellunesi nel Mondo, nata nel 1966, «all’indomani della catastrofe», sottolinea Toni Ricciardi. Oggi conta sessantotto circoli all’estero e cinque in Italia, le Famiglie bellunesi.
Da sempre il custode della memoria è Domenico Mesiano, presidente del Comitato organizzatore delle commemorazioni, composto dall’associazione ItaliaValais, dall’Ambasciata d’Italia a Berna e dal Consolato generale d’Italia a Ginevra. «In quel triste numero, come in un mosaico, era presente l’Italia intera, dalle Alpi alla Sicilia», scrive Mesiano in un comunicato stampa: «Tanti di questi operai avevano lasciato la terra natale per far vivere le loro famiglie, lavoravano immersi in quell’universo di ghiaccio, neve e roccia, alla costruzione di un’opera titanica di cui non avrebbero mai visto la realizzazione.»
Con la stessa solennità si è espresso anche Antonio Tajani, vice presidente del Consiglio e ministro degli Affari esteri, tramite un vibrante messaggio letto a Mattmark dall’Ambasciatore d’Italia in Svizzera, Gian Lorenzo Cornado. Tajani ha tenuto a ricordare «i milioni di connazionali che, con grandi sacrifici ed ammirevole tenacia, hanno fatto della comunità italiana una delle più laboriose, integrate ed affermate del Paese, una comunità che, con il suo lavoro, ha dato un determinante contributo alla crescita della Svizzera e con le sue rimesse a quella dell’Italia».
Ci vollero più di sei mesi per recuperare i resti dell’ultima salma, lassù a Mattmark, e oltre sei anni per istituire un processo. Furono assolti in appello tutti gli imputati chiamati a rispondere dell’accusa di omicidio colposo. La vicenda si è chiusa con la condanna dei familiari delle vittime al pagamento delle spese processuali.