Le identità sospese dei bambini italiani a scuola in Svizzera negli anni Settanta
Il libro «Scolari ospiti. Italiani a scuola in Svizzera» di Paolo Barcella è un’indagine storica della complessa condizione scolastica dei piccoli italiani. La ricostruzione dell’autore parte dalle carte conservate presso gli archivi delle scuole Enrico Fermi di Zurigo e Dante Alighieri di Winterthur.
Di Irene Manzi 10 novembre 2024
«Non ti disunire». E’ l’esortazione che uno dei personaggi del bel film E’ stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino rivolge a Fabietto, il protagonista, dopo la dolorosa perdita dei genitori. Un invito a non perdere la propria unità, la propria essenza, il proprio essere, che ben si adatta alle vicende narrate nel libro Scolari ospiti. Italiani a scuola in Svizzera che lo storico Paolo Barcella ha dedicato alla storia dei giovani alunni della scuola Enrico Fermi di Zurigo e, più in generale, alle vicende dell’emigrazione italiana in Svizzera attraverso la lente dell’esperienza scolastica.
Identità sospese tra l’Italia, Paese di origine, e la Svizzera in cui si era temporaneamente ospiti e da cui si sperava di poter presto ripartire. Divisi tra la lingua materna parlata in casa e quella lingua del Paese ospite che si era costretti ad imparare in un contesto non privo di tensione ed ostilità verso gli immigrati italiani.
Numerosi sono gli studi dedicati alla complessa condizione dell’infanzia immigrata in Svizzera. Una condizione che imponeva ai bambini di crescere lontani dai propri genitori o di trascorrere parte dell’anno in Italia e parte in Svizzera, o di vivere clandestini nel paese ospite in una perenne precarietà che coinvolgeva direttamente anche l’esperienza scolastica che si trovavano a vivere.
Quell’esperienza scolastica su cui questo libro si concentra dando voce agli stessi studenti attraverso la pubblicazione dei temi svolti a scuola. Non un’elaborazione del passato a posteriori, da adulti. Ma il resoconto immediato e a volte non del tutto consapevole di quanto si stava vivendo in un Paese a tratti ostile, con una lingua estranea.
Non era semplice quell’esperienza scolastica, divisa tra la scelta di frequentare gli istituti svizzeri o quella di iscriversi a scuole italiane. Scelte comunque difficili: da un lato, l’emarginazione legata alle classi speciali, istituite dal sistema di istruzione elvetico per coloro che risultavano meno brillanti per le regole prestazionalistiche locali, dall’altro la scelta di restare all’interno della propria comunità, non sempre in grado di favorire un facile proseguimento del proprio percorso formativo nel sistema di istruzione locale. In entrambi i casi, forte era la sensazione di estraneità («per me un extraterrestre è uno svizzero», scriveva negli anni Ottanta il giovane Matteo in un tema) legata alla difficoltà di integrarsi concretamente.
L’esperienza degli alunni della scuola Fermi, nata negli anni Settanta per iniziativa di docenti e genitori per favorire la scolarizzazione dei giovani «ricongiunti», legalmente riconosciuta negli anni Ottanta ed ora assunta in gestione dalla Fondazione ECAP in Svizzera, diventa l’opportunità per raccontare e dare voce a due generazioni di giovani emigrati italiani, quella degli anni Settanta e quella degli anni Duemila, registrando grazie alle parole fissate nei temi le differenze che le caratterizzano e contraddistinguono fasi differenti dell’esperienza dell’emigrazione italiana.
Consapevoli i primi, pur nella giovane età, dell’ostilità dell’ambiente circostante e del contributo fondamentale offerto dalla manodopera italiana alla ricchezza del Paese, speranzosi, come racconta Antonio nel 1973, di poter tornare «dopo tutte queste esperienze (..) nel Paese dove sono partito». Più concentrati sul proprio vissuto individuale i secondi, spaventati dai cambiamenti legati alla crescita e all’ingresso nell’età adulta.
A conclusione del flusso dei racconti, oggetto di un’interessante analisi psicologica da parte del prof. Angelo Villa, il saggio di Toni Ricciardi apre ad un’altra esperienza individuale e collettiva allo stesso tempo, quella di Giuseppe, emigrato in Svizzera insieme ad altri studenti e studentesse irpini dopo il terremoto del 1980 per proseguire la propria formazione scolastica presso l’Istituto Fermi di Zurigo. Un altro racconto individuale che offre un tassello in più nella costruzione della sfaccettata e complessa esperienza dell’emigrazione italiana in Svizzera, giustamente lontana dalle autocelebrazioni, attenta e sensibile verso il vissuto quotidiano e le emozioni di quegli scolari «ospiti», divisi tra due mondi.