L’industria come soggetto globale

di Andrea De Grandi

Dal 21 al 24 di questo mese una particolare categoria di addetti ai lavori si ritroverà a Davos, nel Canton Grigioni. Sono coloro che guidano i destini politico-economici di nostra società che la digitalizzazione ha ormai uniformato nelle aspettative. Motivo del loro incontro: il 50° meeting del World Economic Forum, per ricordare al mondo che ad una informatizzazione universale conseguono responsabilità sociali altrettanto universali (“The Universal Purpose of a Company in the Fourth Industrial Revolution”). Non è che l’aggiornamento delle teorie che in passato portarono Klaus Schwab, allora docente di economia politica, a creare il WEF, fondazione no-profit per la cooperazione pubblico-privato ed il benessere della collettività mondiale, di cui ancor oggi è direttore esecutivo.

Torniamo alle origini del Forum.

Febbraio 1971: le utopie del Sessantotto iniziavano ad affrontare la dura realtà della storia. Nessuno immaginava che nell’agosto di quello stesso anno la fine degli accordi di Bretton Woods avrebbe segnato l’inizio del regime di cambi flessibili fra le divise internazionali. In pratica: il boom economico del dopoguerra era terminato. E’ proprio allora che Schwab inizia a diffondere la sua teoria dei portatori di interessi, la stakeholder theory, e sensibilizzare il mondo della industria a considerare non solo gli interessi dei propri azionisti ma anche di tutti i soggetti che permettono la prosperità del comune sistema da cui dipendono.

Lo stakeholder capitalism di Schwab è quello che oggi conosciamo come il principio della responsabilità sociale dell’impresa. Il valore aggiunto della teorie di Klaus Schwab è di essersi confermato sino ai nostri giorni, quando ormai ci rendiamo conto di avere affidato il nostro destino ad un progresso informatico cui ora chiediamo di non essere disumano.

Verso la responsabilità sociale d’impresa: ripercorriamo velocemente le tappe di questa evoluzione.

Anni Settanta. Alla crisi petrolifera seguiva quella industriale e una iper-inflazione causate dall’esplosione dei prezzi delle materie prime.

Anni Ottanta. L’ondata di liberalizzazioni e la finanza di impresa segnano l’arrivo di un terzo incomodo nel dialogo fra società e politica: l’economia, che avrebbe poi chiesto regole uniformi per agire a livello mondiale, dando così origine alla globalizzazione.

Anni Novanta. Cade il regime sovietico ed iniziano le turbolenze politiche nei paesi medio-orientali. La Cina debutta come nuova super-potenza. Inizia lo sviluppo della telefonia mobile e della trasmissione dati, Internet.

Anni Duemila: anni di crisi borsistiche. Crollano produzione industriale e consumi. Si accentua la sensibilità sociale verso le risorse ambientali. Ma inizia anche la stagione della austerità per i bilanci statali. L’entusiasmo legato all’arrivo dell’euro dopo la crisi finanziaria del 2008 si traduce un sentimento diffuso: sacrifici per tutti. Da queste premesse sorgono le reazioni di anti-politica, oggi evolutesi in sovranismi e nella comparsa di neo-ideologie create appositamente per raggiungere un risultato elettorale e mantenerne quanto consegue.

Siamo ai giorni nostri: l’informatico sonno della ragione inizia anche a generare mostri. I tradizionali contrapposti blocchi di potere diventano alleanze a geometria variabile secondo necessità. Alle ideologie si sovrappongo fake news di incerta origine, ma capaci di influire addirittura sui processi elettorali. Il progresso tecnologico porta la società a cercare nella informatica una illusoria soddisfazione alle proprie inquietudini. Chi può emigra. Da ogni parte del mondo. Per andare altrove: ma in un mondo che ormai si è globalizzato. L’evoluzione industriale è 4.0, attualmente al massimo livello di progresso. Chiariamolo con un esempio. Le nuove tecnologie di trasmissione dati renderanno possibile gestire a distanza, oltre al lavoro del singolo, addirittura intere aziende nella assenza quasi totale di manodopera in fabbrica.

“A tutte queste evoluzioni il Forum di Davos
ha risposto proponendosi come piattaforma per
un libero scambio di opinioni tra governanti, governati,
e spettatori dei destini del mondo.”

Ovvero: tra i produttori di benessere, coloro che pagano per accedervi, e coloro che se ne trovano esclusi senza prospettiva.

Ma il Forum è anche sensibilissimo alle evoluzioni della società.

Ormai da tempo il consiglio direttivo del WEF ha accolto alcune fra le più qualificate dirigenti femminili internazionali. Fra queste, un nome ben noto ai nostri lettori: l’italiana Fabiola Gianotti, Direttrice Generale presso l’Organizzazione Europea per la Ricerca Nucleare-CERN a Ginevra.

Veniamo alle cifre.

Il Forum giunge al 50° anniversario con numeri di tutto rispetto. L’80% della sua ricerca ormai è svolto in partenariato e delegato ai migliori esperti mondiali. Gli argomenti trattati dal WEF sono ripartiti in aree tematiche che seguono i principali temi di interesse per la collettività internazionale: dalle nuove forme della creazione di valore, alla tutela della affidabilità del mondo digitale. Ben tre sono le fondazioni coordinate dal World Economic Forum per lo sviluppo della imprenditoria, specie quella giovanile, fra cui la Schwab Foundation for Social Entrepreneurship, presieduta dal Hilde Schwab, consorte del fondatore del WEF, che si occupa di trasmettere agli strati piu’ vulnerabili e marginalizzati della società mondiale le tecniche di sviluppo economico che hanno fatto la fortuna del settore privato.

Tutte queste iniziative per il World Economic Forum si traducono in un’eccezionale visibilità mediatica. Dalle ultime rilevazioni disponibili, nel 2018 il Forum è stato citato quasi 564’000 volte dalla stampa internazionale: più di una ogni sessanta secondi. Sempre nel 2018, i contenuti diffusi dal WEF sono stati visualizzati per più di un miliardo di minuti dai social-media e confermano l’attenzione del Forum per la comunicazione digitale, che permette la trasmissione mirata di messaggi a precise categorie di utenti. Questi ultimi, grazie a Facebook, Linkedin e Instagram, hanno ormai superato la quota dei due milioni di abbonati, di followers.

Lasciamo il mondo virtuale e torniamo alla realtà.

“L’edizione del 50° del WEF intende sensibilizzare
governi ed istituzioni internazionali a proseguire
gli obiettivi ambientali fissati nell’Accordo di Parigi
per la riduzione delle emissioni nocive
e secondo i Sustainable Developments Goals-SDG”

, cioè le modalità d’uso stabilite dalle Nazioni Unite, affinché la sostenibilità ambientale si traduca in iniziative concrete.

Fermiamoci un istante. Benessere, inclusività: sono parole talmente ripetute da averne persino dimenticato un significato che invece è opportuno ricordare. Perché società non inclusive, disparità e squilibri economico-sociali, producono effetti reali nel momento in cui il cittadino diventa consumatore, oppure elettore o, più semplicemente, si trasforma in opinionista digitale. E’ proprio in questo ambito che le teorie del World Economic Forum confermano la loro attualità. “La gente è stanca delle elites economiche, si sente tradita. Gli sforzi per limitare il surriscaldamento climatico a 1.5 gradi centigradi sembrano essere inutili”, ha commentato il Professor Schwab. “Per rispondere alle incognite cui stiamo per avviarci, è necessario preparare un Davos Manifesto 2020, un piano di azione: riprogrammiamo i nostri obiettivi e stabiliamo una tabella di marcia che politici ed industriali potranno rispettare”.

Lo avrete notato: ospite silenzioso di tutte le iniziative ed attività promosse dal Forum è l’individuo. La persona. Siamo noi lettori, consumatori, portatori di opinioni, utenti digitali perennemente insoddisfatti da un futuro tecnologico in costante evoluzione.

Come rispondere al nostro attuale disagio sociale? “Il World Economic Forum intende diffondere un Davos Manifesto“, ricorda Klaus Schwab, “e ricordare che ogni azienda è tenuta a corrispondere il dovuto contributo fiscale, sia inflessibile ad ogni tentativo di corruzione, tuteli la dignità della persona attraverso le sue attività produttive, e promuova pari opportunità di impresa a livello mondiale”.

Numerose sono i suggerimenti avanzati dai ricercatori del WEF. L’ecosistema informatico di ogni azienda deve consentire una operatività credibile e rispettare il profilo etico-sociale dei dati di cui dispone; deve avere il coraggio di sensibilizzare i consumatori anche su ciò che sia non-utile alle necessità individuali. Ogni azienda deve migliorare l’ aggiornamento professionale dei propri dipendenti per favorirne il reimpiego; deve considerare i propri fornitori come compartecipi alla creazione del valore della produzione; deve concedere opportunità di sviluppo anche ad una sana concorrenza; deve integrarsi come soggetto attivo della comunità in cui si trova. L’industria è chiamata a promuovere una economia circolare, un sistema di produzione che possa rigenerarsi in modo autonomo e non impoverisca le risorse climatiche; deve innovare e progredire la produzione in funzione del benessere dell’individuo; deve responsabilizzare i propri azionisti a perseguire politiche di lungo periodo, compensandone il capitale di rischio ma investendo il profitto aziendale anche nella sostenibilità ambientale della impresa. Il messaggio è chiaro: quanto più la storia si evolve altrettanto le teorie di Klaus Schwab trovano applicazione.

“L’attività di impresa si conferma nella misura
in cui è rispettosa dell’ambiente da cui
si sviluppa.”

A questa riflessione nessuna azienda può sottrarsi, anche quelle che grazie alla loro multi-nazionalità sono chiamate ad evolvere da semplice operatore economico a protagonista sociale, al pari delle istituzioni pubbliche. Ed ecco dunque che quando i confini dell’industria diventano i confini del mondo, la responsabilità aziendale si trasforma in responsabilità globale (“The Universal Purpose of a Company in the Fourth Industrial Revolution”), per il benessere delle collettività del nostro pianeta.

I destinatari di queste evoluzioni siamo noi.
Soggetti della società civile.
Che il risultato di queste iniziative oggi chiamiamo vita.
Domani ricorderemo come storia.

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