Non dimentichiamo lo screening mammografico

OTTOBRE MESE DEL TUMORE AL SENO: IL COVID CE LO STA FACENDO DIMENTICARE? 

di Alberto Costa 

Una delle grandi conquiste della medicina pubblica degli ultimi cinquant’anni è stata quella dei cosiddetti “screening” mammografici per la diagnosi precoce del tumore al seno. Tutto nacque negli anni Settanta quando il chirurgo milanese, Umberto Veronesi, riuscì a dimostrare che non sempre era necessario togliere tutto il seno per curare il tumore e che questa eventualità anzi diventava sempre più rara man mano che i tumori venivano scoperti in fase iniziale da una radiografia della mammella chiamata appunto mammografia. 

Prima di allora le donne non avevano nessun interesse ad andare presto dal medico quando si sentivano un nodulo duro nel seno, perché sapevano bene che la cura era sempre la mastectomia, cioè l’asportazione totale della mammella, con la conseguente perdita drammatica della simmetria corporea e della femminilità. 

Quando si cominciò a capire che, se il tumore viene trovato in fase precoce, non occorre più fare la mastectomia, le donne si affidarono sempre più frequentemente alla mammografia, per controllare il proprio seno, anche senza aspettare di sentire un nodulo duro che cresce al suo interno. 

Fu allora che un radiologo svedese, Lazlo Tabar (di origine ungherese come si capisce dal nome), ebbe l’idea di estendere il controllo a tutte le donne, invitandole a fare la loro prima mammografia al compimento del cinquantesimo anno di età. In una società in cui la medicina pubblica è così profondamente radicata, come quella svedese, il programma partì in tempi brevi e con esso partirono le prime lettere a tutte le donne che avevano appena compiuto 50 anni, offrendo una mammografia gratuita. Nel giro di pochi anni si vide una diminuzione della mortalità vicina al 30 per cento! 

Dopo la Svezia, l’Italia fu uno dei primi Paesi a seguire questo orientamento, grazie al gruppo di radiologi fiorentini guidati da Marco Rosselli Del Turco. Da bravi italiani con molta fantasia, ci inventammo anche delle unità mobili, cioè dei camion che contenevano il macchinario necessario per fare la mammografia e li vedemmo cominciare a fermarsi anche nelle piazze dei paesini di montagna per raggiungere le donne che vivevano troppo lontano da un ospedale per sottoporsi all’esame. 

Ad oggi questa procedura, che si chiama appunto “screening mammografico” è disponibile quasi ovunque in Italia, con le solite differenze regionali e con le donne meridionali che purtroppo rispondono meno agli inviti rispetto alle loro “colleghe” centro settentrionali (la riduzione di questo divario è uno degli obbiettivi dell’attuale Ministro  della Salute, stimolato dalla associazione Europa Donna che rappresenta la voce delle donne contro il tumore al seno). 

In Svizzera lo screening mammografico è stato organizzato nei cantoni romandi e recentemente anche in Ticino. La Svizzera interna resiste all’idea, invece, con la motivazione che non occorre controllare tutte le donne ma è meglio concentrarsi solo su quelle che si ammalano, visto che oggi le possibilità di cura sono molto aumentate.  

Personalmente ho sempre cercato di contrastare questa posizione (non a caso difesa da uomini e non da donne) perché un conto è guarire con una piccola operazione che toglie un tumore diagnosticato in fase precoce, un’altra cosa è guarire a prezzo di grosse operazioni, mesi di chemioterapia, radiazioni e anni di controlli. 

C’è poi l’annosa questione delle nostre casse malati le quali, come dice il nome, rimborsano le spese di cura dei malati ma non la prevenzione. E questo è un problema tutto Svizzero, tipico dei Paesi che non dispongono di un Servizio Sanitario Nazionale e non considerano la salute un diritto automatico di chi paga le tasse. La differenza con i Paesi scandinavi è molto evidente, e anche con l’Italia. 

Ottobre è in tutto il mondo il mese in cui si riflette sullo screening mammografico; si illuminano di rosa monumenti e piazze, si organizzano convegni e campagne di informazione.  

Quest’anno le attività previste normalmente in ottobre, mese del tumore al seno, sono ovviamente rallentate e ostacolate dalla dannata pandemia del COVID e gli screening sono stati sospesi per ridurre i rischi di contagio. Ma già ne vediamo le conseguenze in termini di donne che fanno fatica a trovare appuntamenti per la mammografia e arrivano quindi un po’ tardi all’intervento chirurgico. Ticino e Grigioni hanno anche organizzato delle passeggiate virtuali o di persona (“Race for the cure, “corsa per la cura”) a fine settembre per sensibilizzare la popolazione sull’argomento. 

Il messaggio è semplice e chiaro. Non possiamo permettere che il COVID interrompa più a lungo i programmi di prevenzione e comunque non possiamo dimenticarci che la diagnosi precoce salva la vita (e quasi sempre anche il seno). Novembre sarà poi il mese dedicato al tumore alla prostata e torneremo sull’argomento incoraggiando gli uomini a prestare altrettanta attenzione. 

Ora tocca alle donne, che devono star bene per far star bene tutti noi! 

Alberto Costa è Consulente scientifico del Centro di Senologia della Svizzera Italiana, Lugano  

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