Dalla dipendenza dei combustibili fossili ai componenti (cinesi) per le rinnovabili

di Marco Nori, CEO di ISOLFIN Group

Per decenni il mondo è cresciuto spinto dal petrolio. Solo negli ultimi anni il discorso ambientale è salito alla ribalta per accompagnare la (vera?) preoccupazione dei governi, cioè la strategia geopolitica di accesso a questa risorsa presente in enormi quantità in Medioriente, in Russia e in America Latina. Guerre si sono combattute, sia con soldati e carri armati che con operazioni di spionaggio, di sabotaggio, nonché finanziarie e politiche.

L’avvento delle energie rinnovabili è stato salutato come la panacea per questa situazione instabile; perché sono sostenibili per l’ambiente e perché ogni paese ha accesso a una certa forma e quantità di energia rinnovabile, sia essa eolica, solare, biomassa, idroelettrica o geotermica, quindi tutti i paesi potrebbero diventare produttori di energia.
La realtà è ben diversa.

Il primo fattore che salta in mente è la disponibilità di queste risorse: il sole, il vento, il mare. Il Sahara può diventare improvvisamente un campo di pannelli fotovoltaici? Il Cile, che ha migliaia di chilometri di coste, può diventare il traino dell’energia prodotta dalle maree? La Svizzera sembra uno dei paesi con meno prospettive, montuosa e senza sbocco sul mare: ma può contare su una riserva di vento che si rivelerà utile?

Può darsi, ma quello su cui vogliamo concentrarci non è la disponibilità potenziale dell’energia, ma come viene raccolta. E su questo la partita geopolitica mondiale è già cominciata, in sordina, ma agguerrita come mai.

Lo stoccaggio dell’energia è il Santo Graal di tutta la vicenda, perché detterà come potrà essere raccolta e come sarà trasportata – perché una rete elettrica dal Sahara all’Europa avrebbe enormi dispersioni. L’immagazzinamento si declina in due fattori: tecnologia e risorse prime. Ed entrambi, almeno per ora, vedono la Cina saldamente in controllo.

La politica energetica cinese è cruciale a livello globale. Come utilizzo rappresenta un quinto del consumo energetico mondiale e le sue scelte energetiche hanno una grande influenza sul cambiamento climatico globale. Possiede già la più grande capacità installata al mondo di energia eolica e idroelettrica, nonché la stragrande maggioranza degli impianti di riscaldamento solare e biogas – nel 2013 ha installato più celle fotovoltaiche dell’intera Europa. La manifatturiera cinese nel settore delle energie rinnovabili è la più grande del mondo e vale 40 miliardi di dollari, molto oltre i 5 miliardi del paese che segue, il Giappone. Inoltre, sta investendo con decisione in ricerca e sviluppo: il 29 per cento di tutti i brevetti nel campo delle rinnovabili fa capo alla Cina.

Se la comunità internazionale dovrebbe essere rassicurata sulle buone intenzioni della Cina come impatto sul pianeta, più ambiguo è il suo ruolo nel controllo. La ragione è strategica: aumentando la quota di fonti rinnovabili, la Cina può mitigare le tensioni internazionali rendendo il Paese meno dipendente da regioni instabili per la sicurezza energetica. Non solo, sembra invece volere prendere il posto delle nazioni che oggi sono importanti produttori di petrolio (quindi di energia).

Controllando la stragrande maggioranza della tecnologia per immagazzinare l’energia a prezzi competitivi e con ottima resa, la Cina si è già posta come un attore protagonista del mercato energetico del futuro. Cinque delle sei più grandi aziende di produzione di moduli solari del mondo nel 2016 sono in Cina, la quale possiede anche cinque delle dieci principali aziende produttrici di turbine eoliche. La cinese Tianqi Lithium è il più grande produttore di ioni di litio a livello globale, e il litio è essenziale per lo sviluppo delle batterie da cui dipenderanno le fortune dell’auto elettrica.

Gli effetti di questo dominio si sono visti proprio l’anno scorso, quando la pandemia ha interrotto la produzione cinese di componenti e l’industria mondiale delle rinnovabili si è inceppata. Secondo i calcoli dell’inizio del 2020, all’India questo stop sarebbe costato 2,24 miliardi di dollari visto che si affida alla Cina per l’80% dei moduli solari.

La tecnologia è più trasferibile dei giacimenti di petrolio, si dirà, ed è vero, anche se non è così semplice. Sicuramente non sono trasferibili i giacimenti di materiali essenziali per lo sviluppo di queste tecnologie, situati perlopiù in regioni nelle quali la Cina persegue una decisa politica di influenza. Solo in Congo è stipato il 60 per cento del cobalto mondiale, essenziale per le turbine eoliche e le batterie. Le più grandi riserve di litio sono in Bolivia, per ora non certo una nazione amica degli Stati Uniti.

Per come stanno andando le cose, la nuova superpotenza energetica, dice un rapporto dell’Irena (l’Agenzia Internazionale delle Rinnovabili), è senza dubbio la Cina e senz’altro userà questa influenza.

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