L’epoca dello stereotipo italiano va chiusa: è tempo di sano revisionismo

ITALIA, LO STRAORDINARIO REGNO DEGLI ERRATI LUOGHI COMUNI

Di Manuela Andaloro

Ne abbiamo viste e sentite di tutti i colori – dalla T-shirt di Madonna ai video che mostrano italiani gesticolanti, dalla passione per la moda e l’eleganza all’idea di lingua più passionale del mondo, dall’idea di non sapere guidare a quella di essere rumorosi o mammoni, dal concetto che in Italia faccia sempre caldo, a quello di essere molto amichevoli, dalla passione per il caffè, alla cucina, all’idea che il Paese sia in bancarotta o vada a braccetto con la mafia.
Nel 2015, pochi mesi prima che l’ Expo mondiale si svolgesse a Milano, il governo italiano presentò a Davos un video di forte impatto sull’erroneità di molti, troppi, stereotipi sull’Italia, volto ad evidenziare i punti di forza e sfatare alcuni dei principali luoghi comuni sull’Italia. Il video “ITALY THE EXTRAORDINARY COMMONPLACE” confuta gli stereotipi sull’Italia e racconta il Paese quale esso è: un grande produttore di beni tecnologici, secondo esportatore europeo nel settore meccanica e automazione.
Il dizionario OED definisce uno stereotipo come l’idea o immagine semplificata di un particolare tipo di persona o cosa. Spesso si fa, erroneamente, riferimento a stereotipi per dare senso a un mondo complesso e sfaccettato. Eppure, questi pregiudizi possono diventare opprimenti, sbagliati e addirittura molto nocivi e non aiutano a comprendere le sfaccettature di una società, di un Paese, di una cultura e di un’economia.
Ci sono molti stereotipi e falsi miti legati per esempio all’economia italiana. Di recente l’autorevole settimanale tedesco Der Spiegel ha pubblicato un’analisi del famoso editorialista Thomas Fricke che affronta gli stereotipi italiani e discute senza mezzi termini la grande questione del debito pubblico italiano, spiegando perfettamente la trentennale virtuosità del Paese.

Qual è lo status quo?
Quella italiana è la terza economia nazionale dell’Unione europea, uno dei membri fondatori della UE, dell’Eurozona, dell’OCSE, del G7 e del G20. Nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale, l’Italia è stata trasformata da un’economia basata sull’agricoltura che era stata gravemente colpita dalle conseguenze delle guerre mondiali, in una delle nazioni più avanzate del mondo, e un paese leader nel commercio mondiale ed esportazioni. Secondo l’indice di sviluppo umano, il paese gode di uno standard di vita molto elevato e ha l’ottava qualità di vita più alta al mondo. Secondo The Economist, possiede la terza riserva aurea del mondo ed è il terzo contribuente netto al bilancio dell’Unione europea. Inoltre, la ricchezza privata pro capite è una delle più grandi al mondo tra i paesi avanzati e seconda nella EU.
L’analisi di Der Spiegel impressiona per la sua precisa lucidità. Fricke scrive:
«Forse è una conseguenza di tanti film sulla mafia, o il fatto che l’Italia abbia un tempo migliore, un cibo migliore, più sole e più mare. Qualcosa comunque deve spiegare questo assillo nel puntare sul fatto che i tedeschi sarebbero più oculati, più seri e più affidabili. E a questo proposito mostrare l’inadeguatezza dell’Italia». Ecco disintegrati decenni di pregiudizi finalmente, e Fricke continua.

Citando l’economista Antonella Stirati dell’Università Roma Tre, spiega che «se non si calcolano i pagamenti degli interessi, dal 1992 i governi italiani hanno avuto eccedenze di bilancio anno dopo anno». Altro che attitudine allo spreco, insomma, il cancro del debito ci ha fatto smettere di spendere: «Dolce vita? Sciocchezze. Dal 2000 gli investimenti pubblici italiani sono calati del 40%, un collasso regolato per legge. Le spese pubbliche ristagnano dal 2006. In Germania sono aumentate quasi del 20%».

Segue un monito alla Germania e un’ invocazione a del sano revisionismo: «Non è una colpa diretta della politica tedesca. Chiaro. Ma è giunto il tempo di smetterla con insegnamenti errati, e di contribuire alla riparazione del disastro».

Parole di grande nettezza da parte di un giornale così importante, che conferma che la Germania non è un monolite ma un grande Paese che sa discutere di sé.

Vivo da 15 anni all’estero, dopo 26 anni a Milano, ho vissuto per 5 anni nel Regno Unito e vivo da 10 in Svizzera, ho un marito tedesco e una famiglia bi-culturale, e naturalmente mi è capitato di sentire ogni ovvietà, falsità e stereotipo basato su assurdi ed errati luoghi comuni. Ho scelto una selezione di divertenti aneddoti che negli anni mi è capitato di vivere e raccontare, assurdità per lo più con risvolti ironici ma basati su una profonda mancanza di oggettività, comprensione e rispetto per un Paese tra i 7 più ricchi e sviluppati al mondo.

Ma è vero che l’Italia è corrotta e pericolosa come il Brasile?
Come molti con background internazionale, sono stata testimone di fenomeni di corruzione in egual misura in Svizzera, UK e Italia, le statistiche parlano chiaro, così come gli studi sula natura umana. A Rio de Janeiro – città che ho visitato e trovato affascinante – né auto private né taxi si fermano ai semafori rossi, perchè il rischio è di essere aggrediti, rapinati, rapiti o peggio è quotidiano e comune. In Italia il massimo del rischio al semaforo rosso è che il proprio cruscotto venga lavato. Il Brasile non è un paese definito «sviluppato». Sebbene abbia la più grande economia del Sud America, il Brasile è ancora considerato un paese in via di sviluppo a causa del suo basso PIL pro capite, basso tenore di vita, alto tasso di mortalità infantile e altri fattori.

Ma il Paese è in bancarotta e in recessione.
Scorretto luogo comune, molto grave. Il Paese, come conferma il celebre Der Spiegel non è in bancarotta, lungi dall’esserlo, e da anni evita la recessione grazie a settori trainanti come il lusso e il made in Italy. Dall’aprile 2020, a causa della crisi Covid, l’intero pianeta è in recessione come spiega nel dettaglio un’interessante articolo di Repubblica sul tema.

Puoi prendere il sole in terrazzo a Milano a dicembre?
Domanda realmente postami dalla mia ostetrica svizzera dopo la nascita del mio primo figlio a metà Novembre, mi veniva consigliato durante le imminenti vacanze natalizie a Milano di assorbire vitamina D in maglietta dal terrazzo di casa dei nonni. Milano siede ai piedi delle innevate Alpi e in inverno registra temperature medie diurne dai -2 C ai 5 C.
I frontalieri sono disperati.
Non entro per scelta nel merito di una questione di difficile gestione e che va compresa da multipli punti di vista, ma mi limito a far notare che il PIL della Lombardia è equivalente a quello della Svizzera, e che il solo quartiere Porta Nuova di Milano è la suddivisione più ricca d’Europa all’interno di qualsiasi città, con un PIL di 400 miliardi di euro nel 2017, più alto del PIL di Israele, paragonabile al PIL dell’ Irlanda. I frontalieri si spostano a causa dell’attrattività dei regimi fiscali, a loro volta utilizzati dalle aziende per attuare i poco apprezzati dumping salariali a spese spesso della popolazione locale. Purtroppo il famoso detto della botte piena e moglie ubriaca non è attuabile neanche in terra elvetica.
Potrei andare avanti con gli aneddoti divertenti ma affrontiamo uno dei punti salienti del problema stereotipi. Gli Italiani. Italiani residenti in Italia o Italiani residenti all’estero, che in grandi numeri, sistematicamente, al contrario di quanto fanno ad esempio per cultura i cugini elvetici, non solo non dipingono il quadro completo di un Paese che nolenti o volenti si distingue egregiamente da decenni e volendo millenni, ma sembrano essere i peggiori detrattori del Paese.
Quante volte abbiamo sentito connazionali lamentarsi di dinamiche o denigrare addirittura il Paese, basandosi a loro volta, molto spesso, su nozioni false, errate o stereotipiche e su mancanza di conoscenza delle realtà di altri Paesi? Il danno arrecato all’immagine di un intero paese, di un’economia, è incalcolabile. Come Brignani raccontava in un suo show di qualche anno fa “I peggiori detrattori del nostro Paese siamo noi italiani, ma col pessimismo distruttivo non si va da nessuna parte. Sia pure con tutti i difetti che abbiamo – comuni ad ogni paese – questo mondo senza Italia sarebbe peggiore.”

Cosa possiamo fare dunque per invertire la rotta? Documentarci, e solo dopo esprimerci grazie a dati di fatto, indicatori sociali ed economici, come ci insegna Thomas Fricke. Non farebbe male anche coltivare un po’ di sano – a lungo dimenticato e flebilmente riscoperto durante la crisi COVID – orgoglio nazionale.

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