Sul mercato dell’arte avanzano le quote rosa

Di Laura Torretta

In foto: Artemisia Gentileschi, Lucrezia, 1627 olio su tela (Paul Getty Museum courtesy)

Artemisia: è questo il semplice titolo dell’esposizione londinese che, a Trafalgar Square, nelle sale della National Gallery fino al 26 luglio vedrà protagonista Artemisia Gentileschi. È una sinteticità che la dice lunga sulla popolarità raggiunta oltremanica dall’artista che, grazie a una eccezionale qualità di pittura, è stata così abile da brillare nel panorama del Seicento italiano malgrado vicende personali drammatiche e difficoltà legate al fatto di essere donna.

Frida Kahlo, Dos Desnudos en el Bosque, 1939 (Christie’s courtesy)

La nostra memoria è affollata di così tanti nomi maschili che, nell’immaginario collettivo, c’è sempre la presenza di un uomo con pennello e scalpello intento a realizzare un quadro o una scultura. E le donne artiste? Per molti secoli restano “invisibili” fra le mura di casa o di un convento, dedite alle arti cosiddette minori quali il ricamo, la tessitura, la miniatura. Nel Medioevo non possono intraprendere alcun tipo di apprendistato nelle botteghe d’arte o artigiane, tanto che fino al ‘500 viene frenata e ignorata ogni aspirazione artistica. È durante il Rinascimento che la loro vicenda individuale diventa un elemento importante del clima culturale. Del resto, “Rinascimento” è un termine che, coniato da Vasari, rende perfettamente il fermento in atto all’epoca nei diversi ambiti del sapere, della politica, della società. Per una ragazza, l’unico modo di avvicinarsi professionalmente all’arte è quello di dedicarsi a un lungo apprendistato, che solo le famiglie nobili o ricche potevano permettersi, e dimostrare abilità. Impresa difficile che costringe le giovani dotate di talento a indirizzare le ambizioni verso una specializzazione limitata al “genere”, come il ritratto e la natura morta.

Tamara de Lempicka, La Musicienne, 1929 (Christie’s courtesy)

Alcune pittrici riescono a farsi conoscere al di là dei confini cittadini, e le più capaci emergono in ambito europeo. E’ quanto avviene alla primogenita del Tintoretto, Marietta Robusti, che lavora per quindici anni nella bottega paterna evidenziando una sorprendente bravura al punto da essere invitata dal re spagnolo Filippo II, senza però che il padre le consenta di recarsi all’estero. Invece, la cremonese Sofonisba Anguissola, nella seconda metà del ‘500, riesce a lavorare alla corte di Spagna come ritrattista ufficiale. Sono esempi isolati. Eppure non possono essere ignorate per sempre doti artistiche tanto palesi come documentano, nella mostra Le Signore dell’Arte, in cartellone  fino al 25 luglio nelle sale di Palazzo Reale a Milano, le creazioni di 34 artiste, vissute tra ‘500 e ‘600 ma provviste di una vitalità creativa così intensa che rende già “moderne” le tele di Lavinia Fontana e di  Elisabetta Sirani, di Sofonisba Anguissola  e di Fede Galizia e naturalmente quelle di Artemisia, cui spetta il compito di guidare la cordata.

È un periodo di grande fortuna per questa straordinaria artista, attiva per ben 40 anni tra Roma, Firenze e Napoli: sarà al centro dell’attenzione anche a Los Angeles. Risale ad alcuni mesi fa l’acquisizione, da parte del Paul Getty Museum, di Lucrezia, che racconta la tragica vicenda della moglie di Lucio Tarquinio Collatino: una giovane donna che, gli occhi rivolti al cielo e un pugnale verso il seno, si dà la morte dopo essere stata abusata. Artemisia propone più volte l’episodio, condividendo con questo personaggio, esempio di forza e coraggio femminili, la sua personale violenza subita da parte di Agostino Tassi durante la giovinezza.

Il dipinto, rimasto per secoli in una collezione privata e riapparso sul mercato dell’arte nel 2019, è stato aggiudicato da ARTCURIAL per 4,78 milioni di dollari, record d’asta per la pittrice, contro una valutazione preventiva di 700 – 800 mila dollari. Molte altre tele di mano femminile, tanto antiche che moderne e contemporanee hanno realizzato prezzi milionari. Nell’Olimpo, accanto a Frida Kahlo che con Dos Desnudos in El Bosque ha raggiunto da Christie’s 7,1 milioni di euro, spiccano Tamara de Lempicka, con 8,1 milioni di euro pagati per La Musicienne, Louise Bourgeois che con i celebri ragni scolpiti ha battuto i suoi stessi record quotando nel 2015 oltre 25 milioni di euro, mentre la palma di pittrice vivente più costosa al mondo spetta a Jenny Saville: nel novembre del 2018 con Propped spunta da Sotheby’s oltre 11milioni di euro.

Per quanto più che ragguardevoli, sono cifre lontane anni luce dai picchi dei “colleghi” maschi. Ma Christie’s e Sotheby’s, i due colossi di vendite all’incanto, per una volta sono concordi nell’affermare che per quanto nessuna donna sia entrata a far parte della TOP TEN mondiale, e i loro lavori rappresentino soltanto un modestissimo 2% delle opere maschili passate in asta, le tele, i disegni e le sculture femminili stanno guadagnando terreno. Nel decennio 2008-2018 il mercato femminile ha più che raddoppiato gli introiti lievitando da 230 a 595milioni di dollari. È un trend addirittura più positivo di quello del mercato dell’arte nella sua globalità, cresciuto nello stesso periodo del 72%. Ma non cresce soltanto il turnover degli affari conclusi; aumenta considerevolmente anche il numero delle gallerie che hanno deciso di trattare opere femminili. Forse è davvero scoccato il momento magico della riscossa.

Jenny Saville, Propped, 1992 (Sotheby’s courtesy)
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