Di morti bianche e virus dalla voce silente

di Stefania De Toma

Facciamo un esperimento. Proviamo a immaginare un nuovo virus, solo in Italia però, teniamoci su un territorio circoscritto come campione per ragionare meglio sapendo che nel resto d’Europa la situazione non è sempre migliore. Immaginiamolo però non come un’ondata stagionale ma una presenza costante, tanto che i dati possiamo confrontarli di anno in anno. A gennaio cinquantadue vittime, otto in più rispetto a quelle del gennaio scorso. Gli infortunati – ohps! – i contagiati sono quarantaseimilaquattrocentottantatre. Solo a gennaio. E non stiamo parlando di anziani con patologie pregresse, ma di uomini e donne, spesso – troppo spesso – ragazzi e ragazze nel fiore della loro esistenza, coppie nel momento in cui si mette su famiglia o si mandano i figli all’università, persone che stanno programmando un viaggio o un investimento o che semplice stanno affrontando la vita nella loro quotidianità fatta di grandi e piccole gioie e asperità, che escono di casa senza sapere che non vi torneranno più o vi torneranno dopo ricoveri, malattie, fisioterapie. È un virus silenzioso e costante, inaccettabile in un’epoca in cui la tecnica e la tecnologia consentono risultati straordinari.

Mettiamo il caso che per arginare questo virus d’un tratto si chiudessero aziende e scuole per essere sanificate e adeguate all’emergenza in modo definitivo, che se ne leggesse in rete, che sui viralissimi social girassero post, meme e parodie, che se ne parlasse nei talk dalla prima mattina a quelli di tarda sera, magari con tanto di plastici che fanno tanta audience, che da esperti di chiara fama a piccoli osservatori cittadini venissero intervistati tutti per dire la loro a livello nazionale e locale, che girassero video tutorial con le istruzioni per evitare il contagio con testimonial per accontentare tutti i palati, dai Pieriangela alle Barbaredurso, che fossero prese misure straordinarie del governo per arginare – ma cosa dico, per eliminare i contagi, convocazioni ripetute per un bilancio in tempo reale dei risultati del Consiglio dei Ministri… perché ogni ambito è coinvolto, non solo quello del ministero preposto, apparentemente l’unico che debba gestire codesto famigerato virus.

Io dico che i morti sul lavoro ogni anno sarebbero molti di meno. Biagio era un mio amico, aveva quarant’anni. Era un agronomo sapiente e appassionato ma anche un poeta e un musicista; e una bimba piccola , di neanche un anno, Giulia: a lei aveva anche dato il nome del suo oliveto, “Giuliva”, a lei cui scriveva poesie e che stava crescendo con la giovane moglie.

Biagio morì con l’autista della Regione Basilicata durante un incolonnamento sulla statale Jonica, schiacciato da un tir che correva a folle velocità sotto il sole cocente di agosto, in ritardo per certe consegne, pare. Era mio amico, Biagio, e in uno dei libri che sovente ci scambiavamo, quando già non c’era più, tempo fa trovai un biglietto che da allora è sempre lì, sullo specchio del mio salotto: ”qualcosa si dimentica, del bello nulla si perde”. È vero, Biagio, ma tutto questo, la tua storia, quella dei tuoi anziani genitori mùtili di te, quella di tua moglie Angelica che sta crescendo da sola la vostra bambina – oggi adolescente con il tuo medesimo, luminoso sorriso – e tutte le altre non vanno dimenticate.

Perché aver cura della nostra incolumità è un dovere che devono sentire le istituzioni, le aziende pubbliche e private di ogni tipo e soprattutto noi stessi. Difenderci dai pericoli costanti e sempre dietro l’angolo, che attentano alle nostre vite nella quotidianità che ognuno di noi conduce, nella dimensione nobile e fondamentale garantita dalla nostra Costituzione che è quella del Lavoro. Incastonare nel nostro paese una cultura della sicurezza che impedisca queste stragi quasi quotidiane (una ogni tre giorni in media, solo per i decessi), con questa prova generale di un’influenza diffusa che è giusto che vada affrontata e arginata come stiamo vedendo, forse non è un obiettivo impossibile.

 

 

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