L’attacco di Trump a Draghi e il sistema monetario internazionale

La storia ci dirà, nei prossimi anni, se l’ostilità del Presidente USA Donald Trump verso l’Europa è uno degli accadimenti che non lasciano traccia o se inquinerà per lungo tempo il rapporto tra i due continenti.

 

Per ora Trump persevera nel tentativo di destabilizzare l’UE, come si è visto in occasione della sua visita a Londra a inizio giugno. Fra attacchi al sindaco di Londra (definito “un perdente”) e gaffe al protocollo, Trump ha voluto assestare un ulteriore colpo all’UE, incitando gli inglesi a dare corso alla Brexit e a sostenere l’estremista antieuropeo Boris Johnson nella corsa alla succesione a Theresa May.

L’attacco sferrato a Mario Draghi la scorsa settimana non è nel novero delle cose nuove: il Governatore della BCE è da sempre considerato un “osso duro”, il santo protettore dell’euro, in definitiva un oppositore al pensiero unico di Trump e un ostacolo sulla via di “Make America great again”. A fronte di un’economia europea in difficoltà e delle tensioni globali messe in moto dal conflitto USA-Cina, Draghi ha annunciato che non esiterebbe a rilanciare la politica degli stimoli all’euro, in continuità con il “quantitative easing”. I mercati hanno reagito con un indebolimento dell’euro nei confronti del dollaro, un colpo duro per Trump che ha reagito a modo suo, inviando indirettamnente un messaggio anche al presidente della FED, Jerome Powell, che sta portando avanti una politica di rialzo sui tassi.
L’ulteriore scontro tra Europa e USA conferma d’altro canto che Mario Draghi è il leader carismatico più accreditato dell’Ue, anche se dalla sponda monetaria e non politica. Nonostante l’ostruzionismo dei “falchi” tedeschi, il Governatore della BCE ha dimostrato di sapere dare una risposta sistemica alla crisi post 2008 e di tenere dritto il timone dell’euro durante la terribile crisi del debito degli Stati sovrani.

Draghi e la BCE hanno il compito di guardare alle prospettive dell’Europa e dell’area Euro, collocando nella giusta dimensione i rischi orientati al ribasso e le debolezze che si prospettano per i prossimi mesi. Fattori come la guerra dei protezionismi, delle tensioni geopolitiche e delle decisioni mutevoli, sono da ascrivere alle scelte di Trump sicuramente non dell’Ue.

Le fondamenta del sistema monetario internazionale sono state scosse negli ultimi anni da numerose crisi, insorte per lo più in America, e dalla comparsa di altri player nello scenario economico e politico mondiale, dominato fino a pochi anni fa dal dollaro USA, per decenni ufficialmente ed indiscutibilmente la valuta di riserva mondiale.
Quando sotto la guida del presidente Richard Nixon il dollaro divenne una moneta “fluttuante”, cessando la sua convertibilità in oro, le valute del resto del mondo, ancorate fino ad allora al dollaro, improvvisamente divennero tutte “fluttuanti” a loro volta, innescando una miriade di interrogativi per l’amministrazione americana. La risposta di Nixon, e del suo segretario di Stato Henry Kissinger, per evitare un continuo calo della domanda mondiale di dollari fu ingegnosa e generalmente conosciuta come “il Sistema del Petrodollaro”. Il nome era nuovo ma la giostra era sempre la stessa: “dollari in cambio di petrolio” al posto di “dollari in cambio di oro”.

Il danno economico che deriverebbe agli USA se il sistema del petrodollaro venisse improvvisamente a cessare (Putin docet!) sarebbe enorme. Di ciò – ovviamente – sono intimamente consapevoli le élite di Washington, ciò spiega in parte la politica estera ondivaga di questi ultimi anni. La nostra convinzione, tuttavia, è che Trump abbia preso di mira il suo migliore alleato. Di ciò dovrebbero essere “intimamente consapevoli” anche i sovranisti del nostro continente.

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