Le “sardine”, nuovo fenomeno italiano

La comparsa delle “sardine” ha avuto un effetto dirompente sulla politica italiana e sul grande Barnum mediatico ad essa legata: nonostante l’antipolitica imperante, pochi paesi europei hanno un’offerta di talk show politici così straripante – veri e propri centri di potere – come l’Italia.  Nel giro di poche settimane le piazze italiane, da Bologna a Modena, da Sorrento a Palermo, sono state invase da folle di manifestanti armate di striscioni e le pittoresce “sardine di cartone” appese al collo al posto delle bandiere di partito. Manifestanti che protestano contro l’intolleranza e contro l’odio nelle tribune politiche e nei social, diventati un tratto distintivo delle politiche elettorali e, fino a pochi mesi fa, governative italiane. Aspetti che si sommano al contrasto delle posizioni antieuropee della Lega e, seppure rivedute e corrette, dei 5Stelle.

Il debutto delle “sardine” di Bologna e quello delle “madamine” di Torino ha avuto un eco fulmineo in varie parti del mondo. Un editoriale del New York Times ha speso molte parole per il Movimento definendolo una “rivolta contro il populismo”, il messaggio inequivocabile contenuto per altro nel manifesto delle sardine. Dopo gli anni del “Vaffa Day” che hanno monopolizzato le manifestazioni di piazza, sembra essere tornata la voglia del riscatto civile e delle politiche rispondenti alle esigenze della gente, soprattutto di un’intera generazione di giovani che in Italia non trova lo spazio per costruirsi un dignitoso percorso di vita professionale.

Per decenni i movimenti giovanili o di protesta anche violenta – come il “mouvement des Gilets jaunes”, il più plastico degli esempi recenti – si sono batutti contro le forze politiche al governo e in definitiva contro l’establishment. Il movimento di piazza delle “sardine” è stato invece immediatamente catalogato come forza di opposizione alla Lega di Matteo Salvini, all’antifascismo, pro Europa e come tale antipopulista. Un paio di anni fa Jürgen Habermas, con un articolo pubblicato da Der Spiegel, si chiedeva se “si può ancora fare politica contro le false idee sull’Europa” e forniva una serie di risposte al quesito, senza esimersi dal sottolineare le responsabilità franco-tedesche; e indicava i punti forti del progetto europeo, dalla pace fino allo sviluppo dell’economia alla difesa della democrazia, idee che trovano un terreno fertile in particolare nei giovani.

Ingabbiare le loro idee e il loro movimentismo come semplice forza di contrasto alla Lega e alla destra estrema è una lettura forzata e strumentale, a nostro parere, di quanto sta accadendo. Se è vero che le “sardine” nascono come risposta alla campagna di odio e intolleranza che in Italia in questi ultimi mesi ha messo in mostra eccessi inqualificabili – non solo per quanto accaduto a Liliana Segre – è anche vero che le proteste che da mesi scuotono Hong Kong dimostrano che nei giovani ha ripreso quota ed è molto avvertito il valore della democrazia e delle libertà politiche in contrapposizione ai regimi populisti e autoritari. Le manifestazioni analoghe in Indonesia, in Cile e in altre parti del mondo, ci dicono che la ricetta dei populisti non offre soluzioni efficaci ai problemi sorti con la globalizzazione. Che ci pone problemi irrisolti, che un altro tedesco, Ulrich Beck, prefigurava “nell’individualizzazione della diseguaglianza sociale”, una delle caratteristiche principali delle nostre società, indubbiamente complesse e contraddittorie, sulle quali ora incombono i pericoli che minacciano l’ambiente, sottovalutati e in taluni casi negati dalle forze populiste al potere. Non è un caso che in quest’ultimo anno, ben prima dell’avvento delle “sardine”, siano stati i movimenti giovanili gli attori principali della protesta contro il cambiamento climatico, che ha dato una forte spinta e un considerevole consenso elettorale ai Verdi e alle forze politiche “ambientaliste” ovunque in Europa.

L’Italia, nonostante i suoi molteplici problemi irrisolti, sta dimostrando ancora una volta di essere un laboratorio politico estremamente reattivo e di avere la capacità di sperimentare nuove forme di governabilità, mantenendo il confronto democratico nell’alveo costituzionale. Non è nostra intenzione dispensare ottimismo ma è importante sottolineare questi aspetti, accanto all’esigenza di trasferire le buone idee dalle grandi città alle periferie e alle province; la riscrittura di un nuovo contratto sociale deve abbracciare le esigenze di quel mondo che lavora e produce – quasi sempre lontanto dai clamori e dalle luci delle élite cittadine – e che le forze socialdemocratiche e liberali hanno da tempo dimenticato. Dall’Ulivo alle sardine, pare giunto il momento di scrivere un nuovo capitolo di storia.

 

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