Musei “infettati” dal Covid

Di Laura Torretta

Foto: JOAN MIRO’, Couple d’amoureux dans la nuit, 1966 (courtesy Sotheby’s)

Buffi calzini decorati con la Ronda di Notte di Rembrandt ed eleganti scialli di stoffa guarniti con la figura della Lattaia di Vermeer, decine di puzzles e libri, gioiellini e porcellane, giocattoli e, naturalmente, mascherine di tela. Sono i gadgets che il Rijksmuseum di Amsterdam, ispirandosi alle celebri opere conservate nelle sue sale, ha deciso di vendere online. 

È una delle fantasiose iniziative varate dal museo nell’intento di arginare il brusco azzeramento degli introiti a seguito dell’interruzione di attività imposta dal Covid.

Quello del Rijks non è un caso isolato.  I Musei di ogni parte del mondo stanno vivendo una crisi paurosa e il susseguirsi, a fisarmonica, di chiusure e riaperturenon fa che peggiorare la situazione: sponsorizzazioni private, temporanee locazioni di spazi e vendita di biglietti costituiscono la loro linfa vitale. Negli Stati Uniti il MoMA, Museum of Modern Art di New York, che nel 2020 ha visto svanire l’80% degli incassi rispetto al 2019, ha dovuto ridurre del 17% il numero di curatori, conservatori, impiegati amministrativi, fotografi, facchini.
Un esempio ancora più eclatante è quello che, sempre nella Grande Mela, ha costretto i responsabili del Metropolitan Museum of Art a trattare con case d’aste e collezionisti per vendere lavori d’arte e coprire un deficit di 150 milioni di dollari.

E di nuovo negli Usa, lo scorso autunno ha destato sensazione la notizia che Il Brooklyn Museum metteva in vendita 12 opere per questioni di sopravvivenza.

LUCAS CRANACH I, Lucretia, XVI secolo
(courtesy of Christie’s)

Dopo settimane e settimane di chiusura, il Museo aveva assolutamente necessità di 40 milioni di dollari per conservare al meglio le collezioni e pagare i salari dei dipendenti. Per far fronte all’emergenza, l’unica soluzione possibile era affidare alle case d’asta (e la prima scelta è caduta su Christie’s) alcuni tesori, quali la splendida Lucretia di Lucas Cranach, i dipinti di Corot e Courbet, così come un ritratto del ‘500 attribuito a Lorenzo Costa e un soggetto religioso quattrocentesco di Jacopo de Bardi.

Subito dopo questo tentativo, che ha reso poco meno di 7 milioni di dollari, il Museo ha consegnato a Sotheby’s altri lavori di notevole valore, da un paesaggio di Monet a un nudo di Degas, da una veduta di Matisse a una vivace composizione con i classici motivi di luna e stelle, realizzata da Mirò negli anni 60.

Dal momento che, per solito, quando un Museo viene associato a un incanto è per esercitare il diritto di prelazione su un’opera e dunque per acquistarla, non certo per venderla, l’asta è stata del tutto straordinaria e resa possibile grazie alla modifica delle regole etiche professionali relative alla dismissione delle opere d’arte museali.

Finora, l’AAMD (Associazione Direttori dei Musei di Arte) “tollerava” le cessioni di lavori conservati nei musei “in un contesto di disaccessions or deaccessioning “  vale a direcon l’obiettivo di reinvestire gli introiti in nuove acquisizioni ritenute più prestigiose; adesso però, in considerazione dell’impatto della pandemia globale sulle istituzioni museali, l’associazione ha alleggerito la normativa, sia pure soltanto fino al 10 aprile 2022, consentendo di alienare le raccolte museali “per pagare le spese relative alla conservazione.”

La serietà e l’intransigenza dell’AAMD sono proverbiali e questa decisione documenta una volta di più la gravità di una crisi che non ha precedenti.

Se questo è il preoccupante panorama d’oltreoceano, altrettanto allarmante risulta quello europeo. Un caso emblematico? Il Louvre, che denuncia una déblacle dei visitatori (220mila in luglio e 330 mila in agosto contro gli 800 mila negli stessi mesi del 2019), ha quantificato in 59 milioni di euro le perdite finanziarie.

Ma quanto a una possibile vendita, si accende il semaforo rosso per i musei della ville lumière. In Europa convivono due modelli: Gran Bretagna, Paesi Scandinavi e Germania seguono quello americano e dunque possono, sia pure con limitazioni, disperdere i loro tesori, mentre in Spagna, Francia e Italia le raccolte museali sono pubbliche e, in quanto tali, inalienabili.

Da noi, peraltro, è spuntata una novità quando, qualche anno fa, alcuni disegni di legge hanno proposto di far fruttare i depositi dei musei, pieni zeppi di opere “invisibili” perché manca lo spazio per esporle, dando a nolo a lungo termine dipinti e sculture, disegni e arredi a istituzioni straniere e a privati.

Al di là di soltanto ipotetici noleggi, il panorama italiano appare desolante.

Il malessere è generale e a soffrire sono soprattutto le realtà non statali, a favore delle quali il Governo ha stanziato 70 milioni di ristori. Patiscono perché si sono viste falcidiare i bilanci tanto per le mancate entrate da biglietteria quanto per l’azzeramento dei guadagni da bookshop e oggettistica. I tour virtuali, la comunicazione sui social, i format digitali, ideati con fantasia tutta italica, aiutano sì a tener viva l’attenzione, ma per certo non bastano a colmare la voragine economica provocata dal Covid. 

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