Nuvole nere sul futuro delle pensioni

I pensionati in Svizzera non hanno vita facile, un assioma che da alcuni decenni é al centro del dibattito politico e del dialogo sociale, spesso con toni di scontro aspro. Quando nel 1985 fu introdotta la previdenza professionale nel sistema di sicurezza sociale svizzero, rendendola obbligatoria per legge, non mancarono i proclami altisonanti e rassicuranti sul futuro delle pensioni: sommando la rendita AVS a quella derivante dal secondo pilastro (o al capitale riscosso) il tenore abituale dei cittadini svizzeri non sarebbe cambiato granchè dopo il pensionamento. Sembrava, allora, di aver trovato la quadratura del cerchio ma gli sviluppi successivi, in particolare degli ultimi vent’anni, hanno dimostrato che la realtà del linguaggio politico non è perfettamente identica a quella matematica: il secondo pilastro, com’è noto, è stato attraversato spesso da forti turbolenze.

Dapprima l’accumulo degli ingenti capitali della LPP nelle casse di banche e assicurazioni provocarono una bolla speculativa sui terreni edificabili e sulle costruzioni abitative, facendo lievitare i prezzi al punto tale da sollecitare l’intervento del legislatore per regolamentare diversamente investimenti e gestione dei capitali di risparmio degli assicurati. Ma è con la globalizzazione e la finanziarizzazione capillare della nostra società che i problemi del secondo pilastro sono divenuti più acuti; investimenti errati, grandi guadagni dei manager, aumento continuo dell’aspettativa di vita, e anche gestioni poco oculate, hanno generato forti pressioni sull’aliquota di conversione legale, che soltanto l’intervento della politica è riuscita a contenere dall’iniziale 7,2% all’attuale 6.8% (in un range riguardante la parte obbligatoria per legge, che va – nel 2019 – da un reddito di 21’330 a 85’320 franchi).

Naturalmente l’intervento della politica a difesa del tasso di conversione genera dei costi che in qualche modo devono essere coperti per garantire le prestazioni, per esempio diminuendo drasticamente – come fanno alcune casse – il tasso di conversione riguardante la parte del sovraobbligatorio per finanziare le prestazioni delle rendite obbligatorie, oppure scaricando i costi sui lavoratori attivi.

La questione  previdenziale è evidentemente molto sentita dai cittadini svizzeri, e non solo da questi ultimi: la sicurezza sociale è uno dei nodi sensibili riguardanti tutte le società occidentali. In Italia “quota cento” e “reddito di cittadinanza” sono stati, nel 2018, il carburante della campagna elettorale della Lega e dei 5Stelle e della nascita del governo gialloverde.

I numerosi sondaggi condotti su campioni attendibili di popolazione svizzera mettono in luce le ansie sul futuro delle pensioni. A ragione: secondo calcoli attendibili, le pensioni cumulate dell’AVS e del 2° Pilastro sono diminuite di circa il 20% dal 2002 a oggi, un trend destinato ad aumentare nei prossimi anni. Di pari passo il grido di allarme è sempre più diffuso; va anche detto, in ogni caso, che l’allarme è suonato spesso dalle stesse assicurazioni e banche che gestiscono i capitali del secondo pilastro e che hanno interesse a diffondere le forme di risparmio per la vecchiaia su base assicurativa (terzo pilastro).

Il futuro delle pensioni è tuttavia uno dei nodi di oggi e di domani e obbliga Governo e Parlamento ad un impegno continuo di riforma del sistema. Riforme che secondo alcune correnti di pensiero dovrebbero ripartire il peso finanziario su più spalle, ovvero sui lavoratori attivi e sui pensionati futuri, ai quali si vorrebbe applicare una sorta di splitting: una parte della pensione fissa e una parte variabile. Resta il fatto che proprio i pensionati hanno difficoltà a far fronte al livello del costo della vita in Svizzera, aumentato in maniera sostanziale rispetto a quello impercettibile delle rendite.

Sull’altro versante, quello dell’AVS (Assicurazione vecchiaia e superstiti), le tensioni sono di regola di natura politica. Pochi mesi fa (19 maggio) il popolo svizzero ha approvato la legge federale concernente la riforma fiscale e il finanziamento dell’AVS, che garantisce uno stanziamento supplementare di due miliardi all’anno alle casse dell’AVS stessa, ma – come è stato ribadito da più parti – il miglioramento dello stato delle finanze non può eludere la riforma strutturale del primo pilastro (AVS 21). In che modo e sulle spalle di chi?

Il Consiglio federale progetta di portare l’età pensionabile delle donne a 65 anni, “ein altes Lied” che il popolo ha già respinto. E comunque, visto anche il genere di rivendicazioni portate in piazza dalle donne il 14 giugno scorso, è impensabile pensare di scaricare sulle donne le questioni finanziarie dell’AV, perché come é noto sono retribuite in misura notevolmente inferiore rispetto all’altro genere, anche a parità di prestazione lavorativa.

Visti i considerevoli utili della Banca nazionale, la questione dei tassi negativi e anche il bilancio della Confederazione, s’intuisce che gli elementi di manovra per sostenere l’AVS non mancano.

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