Risparmiatori e pensionati, il conto salato dei tassi d’interesse negativi

Viviamo in un mondo complesso, sembra persino banale ricordarlo. Percezione contro realtà. Da una parte la percezione di un’offerta di denaro ad un costo a dir poco irrisorio (in alcuni paesi europei si possono ottenere finanziamenti a costo zero), dall’altra la realtà di un accesso al credito reso difficile dall’insicurezza o dalla forte lievitazione dei prezzi, come accade nel settore immobiliare, dove i tassi ipotecari contenutissimi non sono fruibili da una grande percentuale di popolazione a causa del costo elevato di case e appartamenti.

Sul banco degli imputati sono finiti da alcuni anni i tassi d’interesse negativi, che praticamente hanno annullato i rendimenti sui titoli di stato svizzeri e sul classico conto di risparmio. Non molti anni fa – fino alla grande crisi finanziaria del 2008 – le obbligazioni di cassa erano una scelta largamente praticata dai risparmiatori perché offrivano un rendimento del 2 fino al 4 per cento; da vari anni tali rendimenti sono azzerati, non si riceve nulla.

Fino alla crisi globale predetta era regola universale che il tasso d’interesse indicasse il profitto che avremmo realizzato “prestando” i nostri soldi alle banche o allo Stato, ora questa regola non è più valida: il “prestatore” non riceve nulla e addirittura a partire da una soglia di esenzione prestabilita (250’000 franchi alla Banca Cantonale di Zurigo) sui depositi vengono prelevati interessi negativi.

Orientarsi adeguatamente è sempre più complicato per il risparmiatore, che deve affidarsi ai consulenti finanziari delle banche, spesso con esiti insoddisfacenti. Il 29 gennaio scorso la Banca centrale del Giappone ha annunciato la decisione di applicare tassi d’interesse negativi; la reazione subitanea dei mercati non si è fatta attendere: risalita quasi ovunque degli indici e dei listini di borsa, nonostante i dati macroeconomici deludenti in numerosi Paesi. Traduzione: chi vuole far fruttare i propri capitali – di risparmio o altro – deve virare sugli investimenti, fondi azionari o immobiliari, anziché sui depositi o i titoli di Stato classici. E qui entrano in gioco capacità di scelta, di diversificazione ottimale degli investimenti per coordinare i rischi e gli eventuali contraccolpi sui mercati, competenze che la maggior parte dei risparmiatori non possiedono.

Banche centrali e politiche monetarie

I tassi d’interesse sotto lo zero sono stati introdotti dalla Banca Nazionale svizzera nel 2014 e stante le decisioni assunte a fine 2019 la roadmap della politica monetaria dell’istituto centrale non prevede modifiche. Fino a quando? Analisti e agenzie specialistiche non prevedono cambiamenti nei prossimi cinque anni. Nella conferenza di fine anno il presidente Thomas Jordan ha difeso le scelte della BNS e ha ribadito che i benefici dei tassi d’interesse negativi superano i costi.

L’Associazione svizzera dei banchieri non è dello stesso avviso e ha invocato più volte contromisure. Gli istituti bancari elvetici pagano alla BNS una cifra considerevole – oltre 2 miliardi di franchi all’anno – sui tassi d’interesse negativi per i loro depositi presso la banca centrale. Il perdurare del regime di tassi d’interesse negativi, secondo l’ASB, provocherebbe danni strutturali all’economia svizzera, mantenendo “artificialmente in vita imprese non redditizie”. L’ASB ritiene anche che i tassi negativi amplificano i problemi degli istituti elvetici nei confronti dell’Eurozona e degli Stati Uniti.

La Banca centrale Europea (BCE), nel 2014, ha introdotto i tassi negativi sui depositi volontari delle banche, scelta adottata anche da altri Paesi europei (Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Malta, Olanda e Svezia); anche i titoli federali tedeschi presentano oggi quotazioni negative. Le condizioni applicate dalla BCE ai depositi degli istituti di credito hanno aperto una discussione accesa per i rischi paventati a danno dei privati cittadini, ma anche dell’economia.

In Germania, ad esempio, si è protratta a lungo la polemica sul trasferimento dei tassi negativi ai conti di tutti i clienti da parte delle banche (ora è possibile per i depositi sopra i 100mila euro), in vista di un ulteriore taglio sui depositi della Bce e per contrastare l’erosione degli investimenti a causa dei rendimenti sotto zero. I titoli di Stato tedeschi, infatti, hanno ritorni negativi su tutte le scadenze, comprese quelle trentennali. L’intervento del Governo tedesco aveva puntato vieppiù alla difesa dei piccoli risparmiatori e ad evitare l’imposizione dei tassi negativi sui conti correnti, dando la stura – ovviamente – ad un acceso dibattito sulla costituzionalità delle decisioni governative che avrebbero potuto, a detta degli istituti bancari, innescare anche un “rischio sistemico”.

Vincenti e perdenti

Come già sottolineato, i tassi d’interesse negativi hanno colpito duramente i risparmiatori tradizionali, appartenenti per lo più al ceto medio, che affidavano i loro averi ai libretti di risparmio e ai titoli obbligazionari per difenderli dall’erosione e mettere da parte le risorse da aggiungere alle rendite pensionistiche e garantirsi in tal modo un’esistenza dignitosa nella vecchiaia. Il conto di risparmio – come sottolineato – è oramai un “conto a perdere”.

Ma vi è un pericolo grave di cui si torna a parlare diffusamente negli ultimi tempi: i tassi d’interesse negativi colpiscono aspramente i pensionati, in egual misura giovani e adulti. La progressiva erosione delle rendite pensionistiche, soprattutto nel secondo pilastro, dove l’avere di vecchiaia è connesso agli interessi che frutta, è una minaccia reale per i futuri pensionati in Svizzera. I tassi d’interesse negativi aggravano il peso sulle prestazioni LPP, già oggetto di discussioni politiche omeriche per quanto riguarda il tasso di conversione dell’avere di vecchiaia, in un Paese alle prese – come tanti – con il costante invecchiamento della popolazione e con l’elevato costo della vita, soprattutto della sanità e degli affitti.

 

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