Trovare nelle cose il loro sorriso e la loro lacrima. La poesia di Giovanni Pascoli

di Sandra Persello, docente di Lettere

Verso la fine del XIX secolo entrano in crisi il Positivismo e il Verismo. Si affermano una nuova sensibilità, un nuovo concetto dell’arte, non più vista come di interprete e guida degli uomini bensì come entità libera, pura espressione dello spirito dell’artista. Si limita il valore dei risultati raggiunti dalle scienze e si afferma l’esistenza di problemi profondi, individuali e sociali, destinati a sfuggire ad ogni ricerca oggettiva, per i quali servono intuizione e interiorità morale.

Interessi umani, estetici, desiderio di evasione, di abbandono al sogno, rinascita del mistero fanno da sfondo, sulla scia delle esperienze letterarie francesi, alla ricerca della libertà nella parola e nel sentimento presenti nelle opere di Giovanni Pascoli, che apporta caratteri di novità in ambito poetico, con una visione quasi impressionistica della musicalità dei termini usati e degli stati d’animo, che segnano in modo radicale l’evolversi della Letteratura italiana del Novecento.

Pascoli nasce il 31 dicembre 1855 a San Mauro di Romagna da una modesta famiglia: il padre è amministratore di una tenuta dei principi Torlonia. Trascorre un’infanzia tranquilla fino al 10 agosto 1867, quando il genitore viene ucciso, per motivi mai chiariti, in un agguato mentre tornava a casa.

Altri lutti familiari e ristrettezze economiche negli anni seguenti lo portano a una crisi di ribellione, a seguito della quale si presenta con l’animo di un uomo che china il capo dinanzi al mistero crudele, all’infelicità che accomuna oppressi ed oppressori, tutti ugualmente miseri e travolti da una forza superiore e sconosciuta. Da allora in poi è una creatura smarrita, che cerca soltanto di salvare per sé e per i suoi un cantuccio di pace e silenzio.

Professore di Letteratura latina all’Università di Messina, Pascoli viene chiamato a insegnare Grammatica greca e latina all’Università di Pisa e poi, nel 1905, succede a Carducci nella prestigiosa cattedra di Letteratura italiana all’Università di Bologna.

Nell’ambito della vasta produzione pascoliana si annoverano poesia italiana, latina, prosa. Il superamento dei moduli poetici tradizionali sopravvive in un primo momento in Myricae (1891). Componimenti ispirati alla vita campestre, titolo che riprende un verso virgiliano, in cui si accenna agli umili fiori di campo, in essi Pascoli trascolora le immagini in uno scenario su cui proiettare inquietudini e smarrimenti, carichi di significati e simboli relativi al suo mondo interiore.

Una visione “impressionistica”, un rapporto inedito con le cose, una serie di scritti che affascinano per le trepidanti scoperte del misterioso parlare delle cose, per le suggestioni simboliche che offrono, si ritrova anche nelle raccolte Poemetti e Canti di Castelvecchio.

Il retroterra culturale da cui scaturisce questa nuova poesia si legge nell’opera Il fanciullino, ambito in cui l’Autore definisce ampiamente la sua poetica.
Per lui la poesia non è logos, razionalità: consiste invece in una capacità di stupore tutta infantile, in una disposizione, metaforizzata nel “fanciullino”, che permane dentro di noi anche da adulti. Il fanciullino alla luce sogna o sembra sognare ricordando cose non vedute mai…parla alle bestie, agli alberi, alle stelle; popola il mondo di fantasmi e il cielo di dei. […] Impicciolisce per poter vedere, ingrandisce per poter ammirare. […] Scopre nelle cose le somiglianze e le relazioni più ingegnose. […] La poesia consiste nel trovare nelle cose il loro sorriso e la loro lacrima; e ciò si fa da due occhi infantili, che guardano serenamente nell’oscuro tumulto della nostra anima.

Da qui il rifiuto della raffinata letterarietà e di tutto ciò che trasforma la poesia pura in poesia applicata. Importante è per lui focalizzare l’attenzione su due problemi: la scoperta dell’infanzia e la valorizzazione delle umili cose.

L’infanzia è il candore, il nido non disfatto: in una visione autobiografica, la famiglia prima dell’uccisione del padre. La casa è nido caldo, raccolto in una esistenza carica di intimità, di affetti viscerali. Si collega all’immagine della “casa-nido”, l’ossessionante ricorrere del motivo dei morti e delle dolorose memorie familiari.

Anche le umili cose del mondo campestre assolvono un identico compito: attraverso il vagheggiamento di quel mondo, Pascoli realizza la sua evasione dalla Storia e dagli scontri di interessi, che la società industriale rendeva sempre più brutali, con un conseguente rifiuto della civiltà contemporanea -denominatore comune del Decadentismo-, dando vita a una sorta di ripiegamento intimistico, che risulta l’opposto della visione edonistica di altri Autori dell’epoca.

Esplicativa della sua vita è la poesia “La mia sera”, in cui il poeta associa lo stato di distensione dell’età avanzata al crepuscolo, alla sera del giorno, il tutto presentato in chiave simbolica, come i canti di culla, fuori di ogni tempo, anteriori all’età della coscienza. Poesia toccante e significativa, capace di commuovere ancora oggi.

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