Un abitante della Terra su 71 è costretto a emigrare e non si sente accolto dove arriva

La settima edizione del rapporto che la Fondazione Migrantes dedica al “mondo” dei rifugiati e delle migrazioni forzate chiede attenzione sulle politiche di respingimento adottate dai paesi europei, volte a limitare gli ingressi di chi chiede accoglienza. E “vuole” una soluzione

Oggi 13 dicembre 2023 è stato presentato a Roma, presso la Pontificia Università Gregoriana, Il diritto d’asilo. Report 2023. Liberi di scegliere se migrare o restare? (Tau Editrice 2023, p. 400), settima edizione del rapporto che la Fondazione Migrantes dedica al “mondo” dei rifugiati e delle migrazioni forzate.

Ciò che è emerso dal convegno e dal successivo confronto, anche con una certa prepotente evidenza, è che oggi la libertà non è un concetto che può essere dato per scontato. Soprattutto se si tratta della scelta di restare nella terra d’origine o di migrare in altri territori alla ricerca di una vita migliore.

Una domanda che diventa sempre più comune tra la popolazione mondiale visti diversi e concomitanti fattori:

-l’acuirsi di numeri di conflitti in varie parti del mondo e delle grandi difficoltà che si incontrano anche solo ad avviare discorsi di pace. Teniamo conto che l’invasione russa dell’Ucraina, nel febbraio ’22, ha prodotto la più rapida crisi da sradicamento forzato dalla Seconda guerra mondiale e una delle più estese: 5,9 milioni gli sfollati e 5,7 milioni i rifugiati a fine anno, per un totale di 11,6 milioni di persone (dati UNHCR);


-le situazioni di crisi economica e/o sociale legate anche alla questione climatica e di salvaguardia del pianeta (per cui, visti i report sul clima, non si sta facendo abbastanza);


-le politiche europee – compresa anche la gestione italiana- volte a limitare l’ingresso a chi è in cerca di protezione, adottando norme sempre più complicate che rendono più difficile sia l’accesso al territorio sia la possibilità, per chi ce l’ha fatta ad arrivare, di essere davvero riconosciuto e preso in carico.
La dichiarazione politica con la quale, nel giugno 2022, 18 Paesi dell’UE più tre “associati Schengen” (Norvegia, Svizzera e Liechtenstein) si sono impegnati a «mettere in opera un meccanismo di solidarietà volontaria» per sostenere i Paesi più esposti alle migrazioni dal Mediterraneo e dall’Atlantico occidentale tramite la ricollocazione oppure tramite contributi finanziari, al febbraio 2023 aveva portato al ricollocamento di sole 435 persone. L’obiettivo annuo era di 8.000.

Da un lato, come sottolineato da Papa Francesco nel suo messaggio ‘Liberi di scegliere se migrare o restare’ per la Giornata Mondiale e del Migrante 2023 “è necessario uno sforzo congiunto dei singoli Paesi e della comunità internazionale per assicurare a tutti il diritto a non dover emigrare, ossia la possibilità di vivere in pace e con dignità nella propria terra... Fino a quando questo diritto non sarà garantito, saranno ancora in molti a dover partire per cercare una vita migliore“.

Dall’altro i dati sono sconfortanti: oggi 114 milioni di persone (un abitante della Terra su 71 e, in cifra assoluta, sei milioni in più rispetto alla fine del 2022) non sono state libere di scegliere se restare nella propria terra d’origine o se partire. Proprio per le cause sopra elencate.

Diventa dunque sempre più importante, per il benessere globale, trovare soluzioni concrete e realmente applicabili per risolvere tale situazione. Anche e soprattutto perché, ovviamente, i tempi sono lunghi.

Il FOCUS SULL’ITALIA
La ricerca “Sinapsi”, sostenuta dalla Fondazione Migrantes e condotta tra il 2018 e il 2022, ha coinvolto direttamente i migranti che hanno fatto esperienza di diversi sistemi di accoglienza in Italia. nel corso dell’indagine sono state fatte domande precise per definire al meglio lo stato di fatto.

Sono state raggiunte oltre 350 persone, dislocate in tutte le regioni italiane, alle quali è stato chiesto cosa pensano del sistema di accoglienza italiano, se vedono le diverse pratiche d’accoglienza (dall’arrivo nella Penisola alla possibile integrazione) idonee e rispondenti ai propri bisogni e desideri, cosa pensano delle pratiche da espletare e dei servizi offerti, ma anche come eventualmente vorrebbero che fosse organizzato il sistema di accoglienza.

Alcuni di loro usufruiscono del SAI (Sistema di accoglienza e integrazione), altri invece soffrono condizioni di sfruttamento lavorativo, altri sono accolte in grandi centri governativi, altri ancora vivono in “ghetti” auto-organizzati. Si trovano in situazioni e contesti diversi, ma tutti i migranti interpellati percepiscono un unico messaggio da parte della società e delle istituzioni : quello di divieto. Non puoi arrivare, non puoi stare, non puoi fare, non puoi essere, non puoi diventare. Quindi non sei (ancora) una persona e devi rinascere, ma “da solo”.

Alla luce di tutto ciò, risulta evidente la necessità di ripensare l’accoglienza.


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