45 anni fa la legge Basaglia chiuse i manicomi. Di che cosa c’è bisogno oggi?

Quarantacinque anni fa, in Italia, è stata varata la rivoluzionaria legge 180 del 13 maggio 1978, che ha permesso la chiusura dei manicomi e l’abolizione di metodi terapeutici violenti, restituendo dignità e libertà alle persone affette da malattia mentale.

Per contro, venivano introdotte misure innovative come l’istituzione di servizi di igiene mentale, la cura ambulatoriale dei pazienti psichiatrici, l’organizzazione di attività riabilitative per i malati. Il provvedimento è stato chiamato anche “legge Basaglia” dal nome del suo ispiratore e promotore, lo psichiatra Franco Basaglia, per l’appunto.

Questo medico, nato nel 1924 a Venezia, si era formato in ambienti antifascisti. Era uno studente universitario presso la facoltà di medicina e chirurgia a Padova, Basaglia, quando, alla fine del 1944, fu arrestato per attività antifascista. Tornò libero cittadino solo alla fine della Seconda guerra mondiale.

L’esperienza di detenzione sotto la dittatura e durante il conflitto bellico accentuò in lui l’avversione per le ingiustizie e per le forme di restrizione della libertà personale e accrebbero il suo desiderio di lottare contro di esse. Dopo la laurea nel 1949, Basaglia iniziò a lavorare come assistente nella clinica per le malattie nervose e mentali fino al 1961.

Nello stesso anno vinse il concorso per l'ospedale psichiatrico di Gorizia. Vi si era trasferito da poco quando l'ispettore capo Michele Pecorari gli portò il registro delle contenzioni che il neo direttore avrebbe dovuto firmare: la pratica prevedeva che i degenti particolarmente agitati venissero legati al letto tramite cinghie di cuoio. Pare che Basaglia abbia risposto, con inflessione veneziana: “E mi no firmo”.

Fu un primo, fondamentale atto di ribellione che innescò la successiva rivoluzione culturale introdotta dallo psichiatra in contrasto con la diffusa...

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