«Sfatiamo alcuni falsi miti sulla tiroide»

Una serata aperta al pubblico è in programma per il 13 giugno a Mendrisio. La parola agli esperti: intervista al Professor Pierpaolo Trimboli e alla dottoressa Chiara Camponovo

di Maria Moreni

La tiroide è una ghiandola endocrina a forma di farfalla, localizzata alla base della parte anteriore del collo, sotto la laringe, davanti alla trachea e all’esofago. Produce due ormoni, T3 (triiodotironina) e T4 (tiroxina), indispensabili per il metabolismo di ogni cellula e per tutte le funzioni del nostro organismo.

Il prof Pierpaolo Trimboli
Dott.ssa Chiara Camponovo

«Senza tiroide e senza ormone tiroideo non è possibile vivere», ha spiegato al ‘Corriere dell’Italianità’ il Professor Pierpaolo Trimboli, direttore medico di Endocrinologia e Diabetologia dell’Ente Ospedaliero Cantonale. «È critica la funzione della tiroide nelle primissime fasi di vita, quando l’ormone tiroideo svolge ruolo essenziale per lo sviluppo del sistema nervoso centrale del bambino».

Il Professor Trimboli e la dottoressa Chiara Camponovo, capo clinica del servizio e attiva nella sede di Lugano, ci hanno illustrato alcuni aspetti che saranno al centro della serata aperta al pubblico, in programma per il 13 giugno presso l’Ospedale Beata Vergine di Mendrisio.

Durante quell’incontro, rivolto ai cittadini, si affronterà il tema delle malattie della tiroide ma anche alcuni falsi miti da sfatare. Ci anticipate qualche caso tipico?

Prof. Trimboli: «I problemi che riguardano questo organo sono essenzialmente di due tipi. Uno è volumetrico: la tiroide può aumentare di dimensioni – formando il cosiddetto “gozzo” – per una serie di ragioni e quindi dare disturbi locali. Essendo la tiroide davanti alla trachea e davanti all’esofago, il gozzo può determinare disturbi legati alla respirazione e alla deglutizione. Questi aspetti volumetrici non corrispondono però per forza a problematiche di tipo funzionale, relative alla produzione ormonale (laddove si parla di ipotiroidismo e ipertiroidismo). Il trattamento, pertanto, deve focalizzarsi sulla funzione della tiroide quando la problematica è funzionale, mentre deve essere chirurgico – o con opzioni alternative – quando il problema è volumetrico senza un disturbo disfunzionale».

Esistono misure precauzionali per fare una sana prevenzione?


Dott.ssa Camponovo: «Per formare ormoni la tiroide ha bisogno di iodio, quindi è importante avere apporti corretti di questo elemento chimico attraverso un’alimentazione varia e bilanciata e utilizzando il sale arricchito in iodio invece del sale comune».

Scoprire un nodulo alla tiroide è sempre una criticità preoccupante?

Prof. Trimboli: «Nella maggioranza dei casi, in realtà, si tratta di noduli benigni. Si stima che fino al 70% degli adulti abbia almeno un nodulo tiroideo ma il tumore maligno tra questi rappresenta una piccola quota. E anche in queste eventualità va detto che il paziente sarà curato brillantemente dopo un approfondito studio da parte degli specialisti».

Ci possono essere dei campanelli d’allarme? 

Dott.ssa Camponovo: «Nella grande maggioranza dei casi il nodulo è asintomatico e viene scoperto per caso nel corso di altri esami. Generalmente ci si accorge del nodulo al tatto quando esso è di circa 2 centimetri. In ogni caso è bene indirizzare il paziente a visita specialistica con ecografia per escludere un tumore. Sintomi legati all’eventuale difficoltà a deglutire e a bere sono rari, a meno che il nodulo non sia posteriore e quindi vada a comprimere l’esofago. L’ipotiroidismo invece può manifestarsi con segnali quali forte stanchezza, sensibilità al freddo, sonnolenza, talvolta aumento di peso con gonfiore. Ma anche in quest’ultimo caso occorre fare attenzione ai luoghi comuni: raramente, infatti, si riscontra che sia la tiroide la causa di una condizione di obesità, che dipende molto spesso da altro. Nel caso dell’ipertiroidismo, infine, i sintomi sono più evidenti: palpitazioni, perdita di peso, aumento del nervosismo. Già il medico di famiglia mette a fuoco il problema e si rivolge a noi specialisti endocrinologi». 

Un altro mito fuorviante?

Prof. Trimboli: «Riguarda il farmaco principalmente utilizzato nell’ipotiroidismo, la levotiroxina, che si usa per sostituire l’ormone tiroideo quando la tiroide è assente o nel caso in cui essa produca pochi ormoni. Si legge talvolta che la levotiroxina possa determinare osteoporosi. Non è esattamente così. Se si utilizza la levotiroxina in modo scorretto e inappropriato può associarsi a un rischio di riduzione della densità ossea e quindi osteoporosi. Ma se lo si usa correttamente, non si corre alcun pericolo».

In gravidanza si deve fare lo screening per le malattie della tiroide, contrariamente a quanto pensano molte donne?

Dott.ssa Camponovo: «La tiroide svolge un ruolo molto importante anche in corso di gravidanza. Un corretto funzionamento della tiroide è infatti indispensabile per poter portare avanti la gravidanza perché in questa fase aumenta il fabbisogno di ormone tiroideo. Per questo motivo i test di funzione tiroidea vanno eseguiti nelle prime settimane soprattutto in donne già note per ipotiroidismo, in modo da iniziare o adattare la cura. Nella procreazione medicalmente assistita, per esempio, si tende a controllare costantemente la funzione tiroidea, anche per capire se l’organo abbia una funzione alterata e possa dare problemi di mantenimento della gravidanza una volta che essa è ottenuta».

Quali possono essere le opzioni alternative all’operazione chirurgica e quando possono essere adottate?

Prof. Trimboli: «Ci sono casi in cui il nodulo è benigno, ma è grande, tanto da comprimere la trachea e l’esofago e comprometterne le funzioni. La sensazione che lamentano i pazienti, fastidiosa e costante, è quella di una mano appoggiata sul collo. Anche se non si tratta di un tumore, bisogna intervenire anche in questi casi. Fino a pochi anni fa l’unica soluzione proposta poteva essere chirurgica. Oggi, invece, avanza l’uso della termoablazione, trattamento non chirurgico che utilizza aghi che liberano calore con cui si raggiunge la morte delle cellule, la necrosi. Il risultato? Bruciando il nodulo assistiamo nel corso dei 6-12 mesi successivi a una sua riduzione dimensionale molto significativa – fino all’80%-90% del volume iniziale – e quindi, di conseguenza, alla scomparsa del sintomo. L’Ente Ospedaliero Cantonale è stato il primo istituto a introdurre questi trattamenti nella tiroide in tutta la Svizzera».

Altre novità nel campo della ricerca?

Prof. Trimboli: «Seguiamo molti filoni, fortemente incentrati sull’ecografia e sull’ago aspirato. In generale si tratta di una materia affascinante su cui si possono applicare determinate metodologie che si stanno sviluppando, come i test molecolari. L’ecografia, in particolare, è il pivot del nostro lavoro. Su questo fronte, ci sono degli sviluppi interessanti connessi anche all’intelligenza artificiale».

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