Amore e morte

Moreno Macchi

La vita assassina, di Felix Vallotton, noto pittore svizzero nato a Losanna il 28 dicembre 1865 e scomparso in Francia nel 1925.
La Recensione di Moreno Macchi

Un noto commissario di polizia arriva in ufficio come ogni giorno alle nove del mattino, saluta (non proprio di buon umore, ma quando mai è di buon umore?) i suoi diretti collaboratori, trova quattro plichi sulla sua scrivania, ne cestina tre (speriamo non importanti) e apre l’ultima busta che contiene una lettera.

E subito annuncia al suo segretario che in una modesta casa di un piacevole e tranquillo quartiere parigino è avvenuto un suicidio. Questo, infatti, il contenuto della missiva appena letta. Il commissario si reca quindi immediatamente sul luogo indicato con un paio di collaboratori e scopre così il cadavere del ventottenne Jacques Verdier. Che si è sparato un colpo di pistola in testa.

Appoggiata sul tavolo davanti a lui, la mano stringe ancora l’arma del misfatto e una lettera indirizzata proprio al commissario di Polizia è esposta bene in vista. Aperto anche questo ulteriore plico, il commissario scopre una pagina vergata dal morto contenente vari dettagli sulle sue ultime volontà, l’ammissione del suicidio e le indicazioni per rinvenire, in uno stipo, un mazzo di banconote e un manoscritto intitolato Un Amore.

Il narratore anonimo, che ha redatto questa breve premessa al testo, decide di cambiare il titolo del manoscritto ritrovato in Un assassinio visto che considera i due termini come praticamente sinonimi (si scoprirà in seguito il perché), e poi in Una vita assassina. Titolo che noi troviamo sulla copertina del volumetto che abbiamo in mano. Fin dalle prime pagine il manoscritto si rivela essere un testo autobiografico dal lugubre esito annunciato fin dalla premessa.

Il breve romanzo del noto pittore svizzero nato a Losanna il 28 dicembre 1865 e scomparso in Francia nel 1925 è stato redatto nel 1907, ma presenta tutte le peculiari caratteristiche dei più o meno famosi romanzi d’appendice ottocenteschi e ci introduce nella particolare psicologia di un aspirante scrittore che, fin dall’infanzia, si accorge che ha un ben strano «potere», un potere che potremmo con lui definire «assassino».

Infatti, alcuni suoi innocenti movimenti causano, durante la sua breve vita, involontari banali incidenti che si rivelano però fatali alle persone a cui accadono. Così Vincent, un compagno di giochi infantili di Verdier, afferma di essere stato volontariamente spinto dalla mano di Jacques quando ha perso l’equilibrio ed è caduto in una pozza d’acqua urtando la testa su una roccia e fracassandosi il cranio. Il rimorso causato da questa grave accusa (infondata?) attanaglierà Jacques per tutta la vita, aggiungendosi a quello di tutte le altre morti da lui «causate»: quella dello stampatore, quella della bella e fragile modella Jeanne e quello dell’affascinante signora Montessac, di cui si innamorerà perdutamente fino alla follia e alla più terribile delle menzogne.

Un amore, quello di Jacques, immenso, incontrollabile e ovviamente fatale, come succede spesso nei romanzi che si svolgono ai tempi delle crinoline, delle lampade a petrolio, delle ballerine d’avanspettacolo e delle carrozze a nolo, quel tempo in cui (come diceva Philippe Daverio in Elogio delle donne), «si usava [morire] di sifilide» o di qualche altra fatidica malattia dello stesso tipo; di tisi, di disperazione o di consunzione.

Il romanzo si svolge in maniera perfettamente lineare e il punto di vista è (ovviamente) unico: quello di Jacques, narratore di sé stesso e della sua tragica vita ed è interrotto solamente da qualche brevissima epistola o lapidario biglietto, che permettono al lettore di carpire tra le linee alcune ellissi, di scoprire fatti non citati espressamente dal narratore, di introdursi nei pensieri e di intuire i sentimenti dei personaggi che compongono la variegata società che frequenta Jacques: scultori, uomini di lettere, editori, personaggi del bel mondo e giovani peripatetiche.

Felix Vallotton
La vita assassina (romanzo)
Adelphi


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