Biennale di VENEZIA 2022. Alle Olimpiadi dell’arte trionfano le donne

di Laura Torretta

Foto: Leoparda de Ojitos, dipinto  di Cecilia Vicuña (Leone d’oro alla carriera) courtesy of Biennale di Venezia

Dopo tre anni dall’ultima edizione, il 23 aprile scorso si è alzato il sipario sulla 59a Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia: la prima dopo la pandemia. Proseguirà sino a novembre e, contro ogni consuetudine, è stata allestita in un anno pari a causa dello spostamento della Biennale dell’Architettura che, slittata dal 2020 al 2021, ha finito col creare l’effetto domino. Per la prima volta viene “firmata” da una curatrice italiana, Cecilia Alemani, che innanzitutto ha voluto conferire un’indelebile impronta di genere alla “sua” Biennale: la rassegna, e mai era accaduto nei 127 anni di “storia”, propone una maggioranza preponderante di artiste donne. Una scelta che riflette un panorama internazionale di grande fermento creativo ed è anche un grande ridimensionamento della centralità del ruolo maschile nel mondo dell’arte e della cultura attuali.

“E’ stato un processo emerso in precedenza dalla mia esperienza curatoriale di altri progetti – chiarisce Alemani – ho sempre lavorato con tante artiste donne ma non ho mai escluso nessuno per sesso o genere”. Su 213 presenze provenienti da 58 paesi, 191 sono artiste e 22 artisti; 1.433 le opere, gli oggetti e le installazioni disseminati come memorabilia, e a completare la Mostra provvedono 80 partecipazioni nazionali che trovano spazio negli storici Padiglioni, ai Giardini, all’Arsenale e nel centro storico di Venezia.

Sono numeri importanti che sottendono il desiderio di ritornare a quella normalità e a quell’ottimismo che sembrano ancora sfuggire, complice la guerra in Ucraina. In proposito, se da un lato i responsabili della Biennale non hanno lesinato sforzi per poter garantire la presenza in Laguna del Paese invaso dalla Russia, dall’altro, subito dopo l’inizio della guerra, l’équipe russa che doveva partecipare alla Biennale ha rassegnato le dimissioni e quindi, di fatto, la Russia non è presente alla manifestazione veneziana.

Il Latte dei Sogni, grafica della Biennale 2022

Per quale motivo il titolo della Biennale 2022 è “Il latte dei sogni”? “Semplicemente si ispira al libro di favole della scrittrice surrealista Leonora Carrington. Nel libro le creature mutanti, le stesse che la scrittrice disegnava sulle pareti da bambina, cambiano forma da umano a naturale e al meccanico per vivere nel mondo. È proprio dal dialogo con gli artisti selezionati che ha preso forma l’idea di una Mostra intesa come opportunità per porsi vari interrogativi: come sta cambiando la definizione di umano? Quali sono le differenze che separano il vegetale, l’animale, l’umano e il non-umano? Quali sono le nostre responsabilità nei confronti dei nostri simili, delle altre forme di vita e del pianeta che abitiamo? E come sarebbe la vita senza di noi? A partire da questi interrogativi si dipana una ricerca attorno a tre aree tematiche: la rappresentazione dei corpi e le loro metamorfosi; la relazione tra gli individui e le tecnologie; i legami che si intrecciano tra i corpi e la Terra”,  spiega Cecilia Alemani.

E’ un dato di fatto che la Mostra siastata progettata in un periodo di grande instabilità e incertezza, l’inizio e il protrarsi della pandemia di Covid-19 hanno costretto gli organizzatori a posticipare questa edizione di un anno, una misura che dopo il  debutto, nel lontano 1895, era stata adottata soltanto durante la Prima e la Seconda guerra mondiale. “In questi interminabili mesi passati di fronte a uno schermo, con collegamenti online con gli artisti e non nei loro studi – sottolinea  Alemani -mi sono chiesta più volte quale fosse la responsabilità dell’Esposizione Internazionale d’Arte in questo momento storico e la risposta più semplice e sincera che sono riuscita a darmi è che la Biennale assomiglia a tutto ciò di cui ci siamo dolorosamente privati in questi ultimi due anni: la libertà di incontrarsi con persone da tutto il mondo, la possibilità di viaggiare, la gioia di stare insieme, la pratica della differenza, della traduzione, dell’incomprensione e quella della comunione. Il latte dei sogni non è una Mostra sulla pandemia, ma registra inevitabilmente le convulsioni dei nostri tempi. In questi momenti, come insegna la storia della Biennale di Venezia, l’arte e gli artisti ci aiutano a immaginare nuove forme di coesistenza e nuove, infinite possibilità di trasformazione”.

Certo è che tutti questi sforzi comuni sono culminati in un percorso espositivo ricco di sorprese, informazioni e scoperte. Curato da Eugenio Viola, il Padiglione Italia è costituito da una sola opera di Gian Maria Tosatti (poco più che quarantenne, vive e lavora a Napoli) che, intitolata Storia della notte e destino delle comete campeggia nello spazio delle Tese delle Vergini, nell’Arsenale, e intende essere un inno contro tutti i conflitti e i mali del mondo. Altri artisti italiani sono impegnati nei padiglioni esteri. E’ il caso  di Lorenzo Puglisi, nato a Biella e attivo a Bologna, le cui opere sono caratterizzate dall’uso diffuso di un nero profondo, dal quale si sprigionano fiotti di luce improvvisa che definiscono volumi e figure : nello  spazio della Siria,  un paese musulmano, presenta uno dei simboli cardine del cristianesimo,  Viaggio al termine della Notte, crocifissione su tavola di metallo di quasi 2 metri “incarcerata” in una gabbia di ferro, da cui affiorano, dipinti di un bianco lucente appena punteggiato di rosso,  la testa, le mani e i piedi di Cristo, simbolo di forza vitale.

Nell’ambito del percorso espositivo, una delle innovazioni della Biennale 2022 è costituita da cinque mini-mostre, definite “capsule del tempo”. All’interno di ognuna di queste stanze sono raccolte oltre 30 opere di artiste di varie epoche. Risulta interessante rilevare come i lavori esposti evidenzino, in un dialogo continuo, impensabili punti di contatto con quelli contemporanei.

Elefante, scultura di Katharina Fritsch (Leone d’oro alla carriera). Courtesy of Biennale di Venezia

Un’altra inedita soluzione espositiva è stata inventata all’Arsenale. Chiusa la lunga infilata di sale delle Corderie, il passaggio, camuffato in una parete aperta su entrambi i lati, funziona come sipario per le opere in vetrina. Superata la soglia, già al primo accesso desta sensazione la vista del monumentale Busto in bronzo di una donna nera di Simone Leigh. La stessa meraviglia si riprova al Padiglione Centrale dei Giardini dove ad accogliere i visitatori è l’Elefante di Katharina Fritsch, che insieme con  Cecilia Vicuña, autrice di Leoparda de Ojitos ha ricevuto il Leone d’oro alla carriera.

Ma è sottinteso che ognuno dei Padiglioni della Biennale, definita Olimpiade dell’Arte, racchiude numerosi spunti di interesse e meriterebbe una visita senza fretta, approfondita. A quanto è dato di sapere, nei primi giorni di apertura, il pubblico, che – complice il ponte del 25 Aprile – ha letteralmente invaso Venezia, ha evidenziato notevole gradimento per Polonia, Korea, Danimarca, Scozia, ma saranno le presenze delle prossime settimane a definire il grado di popolarità dei vari spazi.

Anche il carnet di 31 eventi artistici collaterali è allettante. Tra tutti spicca Take Your Time di Francesca Leone. Prende vita con le riflessioni sulle restrizioni imposte dalla pandemia e sulla sospensione del tempo collettivo e individuale che ha caratterizzato il tempo pandemico, interrogandosi sul rapporto tra umano, tempo e materia. Il pubblico viene invitato a muoversi all’interno di un percorso modulato in spazi fluidi, separati ma connessi fra loro, per entrare in una condizione sospesa tra esperienza personale e pubblica, tra immaginario intimo e universale, tra dimensione terrena e cosmica. 

E, se ancora ve ne fosse bisogno, ad aumentare l’appeal della Serenissima concorre un fitto programma di mostre.  Se, già dallo scorso 26 marzo,  a Palazzo Grassi l’artista tedesco Anselm Kiefer propone l’installazione site-specific dal titolo “Questi scritti, quando verranno bruciati, daranno finalmente un po’ di luce (Andrea Emo)”, un ciclo di dipinti da osservare nella Sala dello Scrutinio di Palazzo Ducale, luogo in cui furono eletti i Dogi, alle Gallerie dell’Accademia, fino al 9 ottobre, è in cartellone la mostra dell’artista indiano Anish Kapoorcon  opere antiche e recenti dello scultore, inclusa la tanto attesa prima del suo lavoro realizzato utilizzando il “nero più nero del mondo”. E a Palazzo Franchetti, fino al 23 ottobre, trova spazio la mostra dedicata ad Antoni Clavé, artista che ha fornito una delle interpretazioni più riuscite e originali di come attraversare il confine tra figurazione e astrazione: 50 opere tra dipinti e sculture, anche di grandi dimensioni, selezionate per esplorare il tema dei guerrieri, a lui molto caro.

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